La lettera di Giorgio Napolitano al Corriere della Sera per difendere la riforma del Senato

(LaPresse Torino/Archivio storico)
(LaPresse Torino/Archivio storico)

Il presidente emerito della Repubblica Giorgio Napolitano ha scritto una lettera al Corriere della Sera in cui difende il progetto di riforma costituzionale del Senato. La senatrice Anna Finocchiaro, relatrice della riforma, aveva poco prima spiegato che «La fine del bicameralismo perfetto è una scelta irreversibile». Il DDL che prevede, tra l’altro, il superamento del bicameralismo paritario e la sostituzione del Senato elettivo, era stato approvato lo scorso 10 marzo alla Camera dei Deputati con alcune modifiche rispetto al testo approvato dal Senato l’8 agosto scorso. Il testo dovrà quindi tornare al Senato. E, se dovesse passare senza nuovi emendamenti, andrà in seconda lettura sia alla Camera che al Senato, come richiede il procedimento di revisione costituzionale. In caso di maggioranza la riforma entrerà in vigore, in caso contrario dovrà essere sottoposta a referendum (anche se il governo sembra essersi impegnato a organizzarlo in ogni caso).

«Caro Direttore, la discussione sul progetto di riforma costituzionale, giunto alla terza lettura in Senato, ha appena superato un passaggio decisivo. La senatrice Finocchiaro, da presidente della 1ª Commissione e da relatrice, ha nella sua replica raccolto nel modo più comprensivo e in termini di inequivoca puntualità, i temi e le posizioni che hanno avuto modo di esprimersi in Commissione nel corso di molte settimane in luglio ed agosto. Governo e maggioranza avevano da tempo saggiamente convenuto sulla necessità di non stringere i tempi del confronto fino ad arrivare a votazioni impegnative nell’assemblea del Senato prima della pausa estiva. E ritengo che ciò non ha potuto non essere apprezzato da tutte le opposizioni.

La parola conclusiva la diranno dunque i senatori alla ripresa autunnale: un punto fermo è stato ormai posto. Ed è stato posto con la netta riaffermazione da parte della presidente Finocchiaro della scelta già compiuta in ambedue i rami del Parlamento e da cui non è pensabile si torni indietro. La scelta è quella della natura del nuovo Senato con cui si intende porre termine alla stortura storica del bicameralismo paritario, dando vita a un Senato che rappresenti le istituzioni territoriali. Questa è la scelta di sostanza (al di là di aspetti procedurali da definire) che ha come suo conseguente e ineludibile corollario la esclusione di una elezione di futuri senatori a suffragio diretto e con metodo proporzionale. Questa scelta, e le conseguenze che essa implica, sono state decisamente sostenute e con dovizia di argomenti, da larga parte degli studiosi chiamati a dare il loro contributo attraverso le audizioni svoltesi in sede di Commissione. È risultato chiaramente convincente come la modifica su quel punto nodale del testo già approvato in prima e in seconda lettura farebbe cadere l’impianto di base della riforma, quale era stato delineato e ampiamente concordato in molteplici occasioni e luoghi istituzionali negli ultimi anni (per non parlare di precedenti molto più lontani). Ed egualmente è risultato, nel lungo confronto concluso dalla presidente Finocchiaro, come altre ipotesi di caratterizzazione del Senato – quale un immaginario «Senato delle garanzie» – oltre a non essere sostenibili in termini di modello costituzionale, produrrebbero lo stesso effetto di far saltare le basi su cui si è posta la riforma del bicameralismo paritario. Ci si presenta dunque così, attraverso le posizioni più radicalmente alternative espressesi ancora in queste settimane, il rischio, o la tentazione, di «disfare la tela» come ebbi modo di dire intervenendo in Commissione il 15 luglio nel ricordo di esperienze di drammatica inconcludenza in questa materia, da me vissute a più riprese e in particolare da presidente della Repubblica.

Mi si lasci dunque rivolgere un forte appello a quanti continuano a esprimere orientamenti così rischiosi per le sorti di una già troppo tardiva riforma costituzionale di cui l’Italia, la democrazia repubblicana, il nostro Parlamento hanno profondo bisogno. Si è discusso a lungo e liberamente; la strada è aperta per l’adozione, da parte dell’assemblea del Senato, di modifiche e puntualizzazioni utili e non dirompenti rispetto a una costruzione di riforma come quella ormai già giunta a buon punto. Non si sovrappongano a un confronto che resti nei limiti di una doverosa responsabilità comune, contrapposizioni politiche distruttive e puri artifizi polemici. Questioni di indirizzo politico o di metodo nella gestione del governo e del suo rapporto con il Parlamento vadano poste (e adeguatamente motivate) in sedi appropriate e con proposte che non si traducano in fattori di paralisi di quell’impegno di riforma costituzionale che era apparso – e auspico possa ancora tornare ad essere – largamente riconosciuto e condiviso».