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Perché non ricordiamo Gabriella Ferri

«Lei era Roma per me: sorrideva pur essendo triste, gli occhi bistrati e chiarissimi. Il suo corpo mi pareva il corpo della città. Era facile riconoscerla nelle sue canzoni, era evidente che le paillettes e i foulard, gli abiti fuori misura coincidessero con le contraddizioni e la pietas della città. La tragedia della donna che si butta nel Tevere per un amore finito in "Barcarolo romano" racconta lo stesso fiume che abbraccia l’Isola Tiberina e l’ospedale Fatebenefratelli, dove sono nate generazioni di romani. A me sembra che finché Roma è rimasta "india, pigra e furba" come il padre di Gabriella Ferri, lei, come tutte le maschere, non ha avuto bisogno di presentazioni perché il luogo da cui veniva era la sua vera identità. Ma dopo l’inizio e la consacrazione, è arrivata la consapevolezza, il timore di ritrovarsi alla fine di un percorso»

Perché non ricordiamo Gabriella Ferri

Ritorno in Israele, per vedere com’è cambiato

«Il paese si è rotto perché si stava rompendo già prima. Mancavo da quasi dieci anni, sapevo che avrei trovato una nazione scossa, eppure non ero preparata alla sensazione di straniamento che ho provato nel vedere un paese dove ho vissuto, che mi è entrato sottopelle, così cambiato, e in peggio. Credo ci vorranno ancora anni prima che storici e politologi riescano a inquadrare appieno la misura in cui quel giorno ha trasformato Israele, ma quello che ho visto è un paese incattivito, impaurito, in guerra con sé stesso e con il mondo, in balìa di un senso di inevitabilità. Volendo tirare le somme, l’Occupazione è entrata dentro Israele, l’ha contagiato come farebbe un virus»

Ritorno in Israele, per vedere com’è cambiato
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