Rigidità, flessibilità, rottura: le tattiche di Renzi

Non c’è dubbio che il passaggio sia complicato. Sempre quello di Palazzo, naturalmente, perché Matteo Renzi continua a controllare agevolmente il flusso di messaggi diretto al paese. Lui per la maggioranza degli italiani è ancora quello «che ci sta provando», contro un sistema che resiste, fa ostruzione, contrattacca adoperando gli strumenti e le astuzie tipici della “politica”: insomma, il tipo di opposizione che si leva contro il premier viene usata per confermare la versione del premier stesso.
Poi appunto c’è da procedere nella giungla. E qui la comunicazione aiuta fino a un certo punto. Sicché Renzi, che da quando è sulla scena s’è dimostrato anche tattico più che discreto, deve scegliere quali sono i punti di rigidità, quali quelli di rottura, quali quelli di difesa e quali quelli di flessibilità.

Sulla marcia della riforma del senato l’opzione è per la massima rigidità. Nell’aula di palazzo Madama il clima è dei peggiori, lo scontro con le opposizioni è senza quartiere. In situazioni del genere bisogna mettere nel conto il rischio di andare sotto in qualche voto segreto. Reagire evocando lo spettro dei 101 di Prodi è chiaramente fuori luogo: chi lo fa cerca di riaffermare la propria coerenza e determinazione, e l’altrui eccesso di furbizia o mancanza di lealtà.
Allo stesso tempo, si ribadisce una nuova flessibilità sulla legge elettorale. Può darsi che Renzi abbia avuto un tacito via libera da Berlusconi, sicuramente ha bisogno di aprire varchi nell’opposizione sulle preferenze. Peccato che così ne abbia aperti di nuovi nel Pd: per mesi la linea democratica è stata un’altra, Roberto Giachetti non ha avuto difficoltà a costringere il suo segretario a integrare la posizione con l’opzione dei collegi uninominali. Peccato che ci credesse chiaramente molto poco.
Infine, la rottura. È tutta politica, è con Sel, investe anche le alleanze locali. Pare proprio che Renzi voglia spingere Vendola spalle al muro, sapendo che per quest’ultimo il M5S sarà sempre solo un concorrente, mai un alleato, e che la riduzione dello spazio politico gli creerà sofferenza.

Infine, il caso Cottarelli. Che lascia intuire problemi irrisolti tra palazzo Chigi e l’Economia, ma sul quale Renzi torna a irrigidirsi. Qui per lui è una questione di principio. Il suo governo chiude l’epoca dei tecnici che vogliono imporsi alla politica: mostrarsi debole su questo fronte sarebbe sicuramente più grave che piegarsi alle mediazioni con i partiti.

Stefano Menichini

Giornalista e scrittore, romano classe 1960, ha diretto fino al 2014 il quotidiano Europa, poi fino al 2020 l’ufficio stampa della Camera dei deputati. Su Twitter è @smenichini.