Quante possibilità ha Civati

Se a decidere fosse il famoso potentissimo inesistente popolo della rete, non ci sarebbe partita né per Cuperlo, né per Fassina e dispiace dirlo neanche per Fabrizio Barca. La segreteria del Pd sarebbe una partita a due. Due maschietti che una volta facevano la stessa battaglia per ringiovanire il proprio partito e poi un brutto giorno si sono divisi con rancore, apparentemente per l’eccesso di sicumera di uno e per l’eccesso di candore dell’altro: praticamente, seguendo il gusto non raffinato di noialtri giornalisti, il “Vent’anni dopo” di D’Alema e Veltroni.

Di Matteo Renzi sappiamo tutto (anche se non l’essenziale, quanto alle sue intenzioni attuali: ma quelle forse non le conosce neanche lui), seguiamo ogni decimo di punto di variazione dei suoi sondaggi (non un granché, recentemente: non va mai bene quando la gente associa il tuo nome a interminabili e incomprensibili baruffe), conosciamo punti forti e punti deboli.
Di Pippo Civati si sa meno, nel senso che i media mainstream si occupano di lui solo saltuariamente, infilandolo nei pastoni sul Pd nella sempre utile posizione di “dissidente”. In tv ci va ma “buca” poco, spiegano gli esperti, perché ha davvero troppo l’aria da bravo ragazzo: un duello in video fra lui e Cuperlo farebbe ascolti da record fra le democratiche, ma nessun conduttore del tipo corrente li vorrebbe mai insieme.
Civati è bravo nel posizionamento, sfortunato nella tempistica. Da aprile occupa meglio di chiunque altro la casella dell’insofferenza verso il Pd “dei traditori”, i famosi 101 di quella votazione su Prodi che ora Civati si propone di vendicare, anche se nessuno sa chi sarebbero le vittime della vendetta, né si può esser sicuri sul voto di nessuno in quel dannato venerdì.

Ma al di là dell’individuazione dei reprobi, il problema di questo punto cardine del programma di Civati per le primarie del Pd è che l’indignazione, per quanto forte e giustificata come in questo caso, lascia presto il campo a valutazione e aspettative più razionali. Il fattore che deciderà le primarie Pd non sarà la voglia di vendetta bensì la risposta alla domanda: chi può tornare a far vincere il centrosinistra?
Qui la linea di Civati è integralmente e puramente politica: vuole rompere quanto prima le larghe intese, su questa base ristabilire l’asse con Sel e andare a riprendersi i voti di sinistra finiti a Grillo. Tutto con una impostazione generale molto ambientalista e pacifista.
Preso alla lettera, un Civati segretario del Pd su questa linea vorrebbe dire crisi di governo automatica prima del prossimo Natale. Ma Civati non sembra voler essere preso alla lettera («ho un atteggiamento laico, sono pronto a cambiare in corsa idee e obiettivi», dice a Repubblica): più che scalzare Letta quanto prima, è chiaro che gli preme occupare lo spazio della sinistra democratica severamente critica con la nomenklatura del Pd. In una competizione “aperta” come quella promessa ieri da Epifani, è una collocazione che promette discrete percentuali, creando potenzialmente qualche problema a Cuperlo (che risulta fin qui troppo “allineato” al gruppo dirigente uscente).

Se però quelle primarie saranno davvero dominate dalla scelta sul migliore leader per condurre – prima o poi – il Pd alla vittoria elettorale, qui è chiaro che Civati non può competere col vecchio amico Renzi, che peraltro si sta attrezzando anche sul lato sinistro. Inoltre Civati ha un lato debole: è un uomo di rottura sempre “fino a un certo punto”. Si fece fermare quando, all’indomani della sconfitta elettorale di febbraio, aveva abbozzato una richiesta di dimissioni di Bersani che avrebbe avuto molti buoni argomenti. E anche sul governo delle larghe intese, alla prova del voto di fiducia rimase l’unico Pd fuori dall’aula, in posizione di testimonianza (e di dialogo con M5S), senza cercare però di organizzare una vera area politica di dissenso. Il che ora gli consegna molti teorici simpatizzanti, ma nessun vero alleato nel Pd.

In ogni caso, la partita dell’ex consigliere regionale lombardo andrà seguita con interesse. Anche perché i suoi (sempre ipotetici) interlocutori politici, i Cinquestelle, lo trattano alla stregua di un agente provocatore e gli promettono dispetti di ogni tipo. E visto che Pippo non ha avuto tanta fortuna come pontiere verso Grillo, magari diventarne una vittima potrà risultargli più utile.

Stefano Menichini

Giornalista e scrittore, romano classe 1960, ha diretto fino al 2014 il quotidiano Europa, poi fino al 2020 l’ufficio stampa della Camera dei deputati. Su Twitter è @smenichini.