Un buon voto e una divisione non dannosa

La giornata è stata convulsa, di nuovo dominata dal racconto di una divisione nel Pd, anche stavolta su un tema cruciale perché in ballo c’era l’avvio della fase riformatrice della legislatura.
Per quanto sia comprensibile il calore della polemica, sarebbe sbagliato drammatizzare i voti di ieri sera nell’aula di Montecitorio.

Il dato di gran lunga più importante è l’avvio, largamente condiviso e per questo motivo fatalmente generico nei contenuti, di un percorso che segnerà nel bene o nel male l’intera stagione politica.
Non so se sarà fra diciotto mesi o fra diciotto settimane, in ogni caso la vita del governo Letta e la qualità del suo lavoro sono da ieri legati ai risultati che saranno conseguiti nell’opera di aggiornamento della Costituzione e di aggiustamento dei meccanismi di funzionamento di una democrazia che obiettivamente, così com’è, non risponde più alle esigenze del paese.
In un modo inedito rispetto al passato, il presidente del consiglio ha assunto un ruolo di leadership coinvolgendo governo e parlamento su un corposo pacchetto di cruciali riforme istituzionali. È chiaro però, senza mancare di rispetto, che Letta si espone nell’occasione anche a nome del capo dello stato, esplicitamente citato ieri nei discorsi del premier.

Non è un dramma che, fin da questa apertura di giochi, una quota del centrosinistra rafforzata dai deputati M5S abbia ribadito nero su bianco il tradizionale e condiviso orientamento del Pd per un ritorno al sistema maggioritario con i collegi uninominali.
Il voto dei 139 di ieri sera varrà da “fermo” nelle prossime mosse, quando i gruppi parlamentari si misureranno (a breve, entro due mesi) sulla prima correzione del Porcellum.
A questo proposito bisogna aggiungere che solo per pigrizia o malafede si può parlare di Roberto Giachetti, capofila dell’operazione tentata ieri da questa trasversale pattuglia di minoranza, come di un «emissario di Renzi», magari in chiave di sabotaggio al governo.
Basta conoscere il personaggio per sapere che Giachetti sul tema della riforma elettorale è emissario solo di se stesso e portatore, come unico disegno, di una coerenza granitica che l’ha condotto in dicembre fino alla soglia dell’ospedale. Fossero stati tutti come Giachetti, non avremmo rivotato col Porcellum lo scorso febbraio.
Quindi pieno rispetto per lui, e buon lavoro al parlamento.

Stefano Menichini

Giornalista e scrittore, romano classe 1960, ha diretto fino al 2014 il quotidiano Europa, poi fino al 2020 l’ufficio stampa della Camera dei deputati. Su Twitter è @smenichini.