Profumo di moderazione a sinistra

Matteo Renzi si è messo in modalità off, e si può capire anche se più probabilmente, conoscendo il tipo, si tratta di uno di quegli stand-by che basta sfiorarli e tornano in accensione piena.
Chi invece non s’è dato neanche un giorno di pausa dopo il risultato del ballottaggio è Pier Luigi Bersani. Dal candidato premier del centrosinistra sono arrivati fin dalle primissime ore un paio di messaggi molto chiari sul percorso di avvicinamento alle elezioni di primavera. Segnali destinati contemporaneamente, diciamo, al mercato interno e al mercato estero.

Avendone avute molte avvisaglie, non stupisce l’invito all’inclusione rivolto a 360 gradi, da Renzi a Vendola, dal civismo a Monti, insomma tutti. Non è più questa la novità. Del resto i sondaggi continuano a spingere in alto il Pd e lo spirito di massimo allargamento ne risulta incoraggiato. Da notare in proposito l’insistenza con la quale l’Unità batte sulla necessità di promuovere il ruolo di Renzi nel Pd e sul progetto di assorbimento organico nel partito sia di Sel che delle istanze centriste alla Tabacci.

C’è però anche dell’altro nel preannuncio del tour internazionale di Bersani e nel suo impegno a non «raccontare favole » nell’imminente campagna elettorale. Il candidato premier si corazza preventivamente contro l’immagine – che sa insidiosa – di leader della “solita” alleanza di centrosinistra che fa facili promesse di spesa pubblica e di allentamento del rigore finanziario. Non voglio dire che l’entusiasmo col quale Nichi Vendola ha offerto a Bersani i propri voti – con successo, a stare alle prime analisi dei flussi – sia destinato a essere subito raffreddato.

C’è da scommettere per esempio che il centrosinistra di Bersani sarà il più netto che si ricordi sui temi della cittadinanza e dei diritti civili: nell’epoca di Obama è anche tempo di abbandonare prudenze e di tatticismi, peraltro giustificati fin qui, nelle varie declinazioni dell’Ulivo, da un potere di interdizione delle componenti cattoliche che appare molto indebolito nella nuova stagione. Questo è uno degli effetti collaterali dell’esplosione del fenomeno Renzi (cattolico molto liberale), salutato anche per questo motivo con una certa simpatia dalla sinistra democratica. La prospettiva di un centrosinistra più disinibito sui temi eticamente sensibili è compensata, agli occhi dei cattolici, dal venir meno di un altro feticcio: è finito il tempo della rincorsa securitaria alla destra sulla questione dell’immigrazione. Non sappiamo se la crisi della Lega sia la causa o l’effetto, e non si può mai dare per irreversibili certe tendenze, sta di fatto che ormai anche su questo punto tutte le aree politiche parlano più di regolarizzazioni e di diritti di cittadinanza, che non di quote e respingimenti. Basti considerare il ruolo di una personalità come Riccardi nella riorganizzazione del centro; il percorso della destra finiana; e addirittura la moderazione di Maroni e della sua Lega post-padana.
Sul lato dei diritti, dunque, la sinistra, Vendola e oltre, non troverà alcun disagio nel nuovo assetto della coalizione.

Il discorso è diverso sulle materie economiche. Qui intorno al nome, al ruolo e al lavoro di Monti si è giocata una partita un tantino ipocrita. Il governo è stato ripetutamente pizzicato per le sue “distrazioni” sociali; ministri come Fornero sono stati ridotti a punching-ball; si è fatto passare il messaggio che il centrosinistra al potere raddrizzerà la barra della solidarietà. Tutto giusto, tutto comprensibile, tutto vero. Il lavoro sarà la priorità assoluta di Bersani, che del resto ha la Cgil dominante nella propria costituency. C’è modo e modo, però. Infatti già nei dibattiti delle primarie, come vedremo presto nel tour internazionale del segretario Pd, nessuno promette «le favole» di un ritorno al passato sul mercato del lavoro o sulle pensioni.

Quando ieri Vendola ricordava di essere ancora impegnato col referendum a restaurare «in tutta la sua integra bellezza» l’articolo 18 dello Statuto dei lavoratori, citava una posizione di bandiera da far valere nella futura trattativa («alla luce del sole»), certo non a paletti invalicabili visto che essi sono stati valicati ormai senza ritorno, col voto del Pd e sotto l’osservazione internazionale della quale Bersani è pienamente consapevole. Passano da qui, dall’esame di rigore al quale il candidato premier sa di doversi sottoporre, le sue chances di essere apprezzato fuori dall’Italia come successore di Monti. Perché purtroppo, anche se tanti amano gonfiare le parole, il visto democratico ricevuto massicciamente domenica non è tutto nell’epoca della globalizzazione. Chiedere a François Hollande per conferma.

Stefano Menichini

Giornalista e scrittore, romano classe 1960, ha diretto fino al 2014 il quotidiano Europa, poi fino al 2020 l’ufficio stampa della Camera dei deputati. Su Twitter è @smenichini.