L’odio non è di sinistra

Prima abbiamo riconquistato il garantismo. È accaduto a fatica: molto per demerito degli altri, diventati (o tornati) forcaioli; molto per merito di Giuliano Pisapia e della sua biografia; un po’ grazie a un’antica cultura politica democratica che resiste all’onda alta del giustizialismo “di sinistra”. Ma sappiamo che questa del garantismo è una riconquista a rischio, precaria: dovessimo chiedere qualcosa a De Magistris in cambio del voto (per fortuna non ci tocca), non sarebbero posti di sottogoverno partenopeo bensì l’abiura dei suoi pessimi anni da inquisitore a caccia di pubblicità più che di prove. Scambio improbabile, direi.

Adesso, però, dopo il garantismo salutiamo ora il ritorno di un’altra ottima abitudine. Un altro tratto antropologico (se si può dire così) smarrito che rispunta dalle nebbie dell’inverno berlusconiano, ora che cominciano a diradarsi.
Parlo della battaglia politica fatta con divertimento. Con leggerezza, con ironia e autoironia, con spirito positivo.

Attenzione, non mi riferisco al sarcasmo standardizzato dei comici professionali della sinistra televisiva. Né alla satira doc, amara e distruttiva contro i nemici e più spesso contro gli amici. E neanche tanto alla bonomia, simpatica ma talvolta studiata, di Pier Luigi Bersani.

Il fenomeno che esplode è un altro. Più forte, più diffuso, più liberatorio. Corre sulla rete, diventa incontenibile su Twitter, spopola su Facebook. Risveglia la creatività, stimola l’emulazione. Smantella la Moratti e la Santanchè non con gli insulti personali (spesso machisti) o politici, ma con la derisione degli hashtag, le parole chiave di Twitter che diventano tormentoni: #Morattiquotes, le frasi impossibili della candidata disperata. #SevincePisapia, come potrebbe essere il mondo da lunedì 30. #Santanchéquotes, le assurdità dell’amazzone che ha rovinato Berlusconi.
E poi i video con gli arrangiamenti della sora Cesira o i dialoghi strascicati di Diego Bianchi detto Zoro: tutta roba fatta in casa, approdata magari in televisione ma espressione di uno spirito pubblico che torna a sorridere.

Si capovolge anche questo fastidioso luogo comune berlusconiano, quello che a me personalmente faceva soffrire di più. Il luogo comune (in parte vero, come tutti i luoghi comuni) della sinistra che non sa ridere, la stessa sinistra che sa solo odiare e reggere la coda ai pubblici ministeri. Descrizione che forse si adatta ancora a Beppe Grillo (che, opinione personale, avrà sicuramente qualche voto ma rimane al lato della scena a spargere veleno), mentre non descrive più l’umore di una nuova possibile maggioranza. Maggioranza rumorosa e sorridente.

Come disse una volta Bill Clinton, ed Europa reclamava come motto alla vigilia delle elezioni: «Battiamo la destra divertendoci, oppure cambiamo mestiere». Divertirsi: non è solo il modo più efficace e moderno per battere qualcuno, senza mai dimenticare la serietà delle situazioni ma anche senza farsene sopraffare. È anche il modo più piacevole e appropriato di uscire dall’epopea del barzellettiere di Arcore. Ed è, in definitiva, il miglior programma di governo e di vita che esista.

Stefano Menichini

Giornalista e scrittore, romano classe 1960, ha diretto fino al 2014 il quotidiano Europa, poi fino al 2020 l’ufficio stampa della Camera dei deputati. Su Twitter è @smenichini.