Fare gli italiani e le italiane
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Michele Serra
Martedì 13 maggio 2025

Fare gli italiani e le italiane

«Bisogna sapere, anche, che non sono possibili compromessi tra le due idee di Italia: quella degli italiani secondo etnia non è, e non sarà mai, quella degli italiani secondo cittadinanza»

Myriam Sylla e Paola Egonu durante una partita di pallavolo tra Milano e Conegliano al Forum di Milano (Ansa-DPA)
Myriam Sylla e Paola Egonu durante una partita di pallavolo tra Milano e Conegliano al Forum di Milano (Ansa-DPA)

Nelle prossime settimane il referendum che punta ad abbreviare i tempi di concessione della cittadinanza riporterà in primo piano il dibattito, ormai pluridecennale, sull’immigrazione e sui problemi connessi, vantaggi e svantaggi, accoglienza o respingimento, integrazione ed estraneità culturale, eccetera. Come molti dibattiti politici del presente, non è un dibattito. Nel senso che non contempla ascolto reciproco e dunque non prevede alcuna possibilità di misure condivise. Ma in questo caso forse è inevitabile che sia così: perché la questione tocca nel profondo visioni del mondo talmente diverse, e così radicate, così nevralgiche, che nemmeno il più paziente e sapiente tavolo di trattative potrebbe sortire, chiamiamolo così, un “piano migranti” condiviso e sottoscrivibile, se non da tutte le parti politiche, almeno da una larga maggioranza. Voglio dire: non è un problema, quello della cosiddetta “identità nazionale”, che consenta soluzioni “tecniche”. È una questione ideologica e culturale che non concede tregua, e forse nemmeno la prevede.

Facciamo un’ipotesi. Che esista, sulla carta, un ragionevole compromesso tra “siete benvenuti a prescindere” e “non vogliamo essere invasi”. E che la soluzione migliore per alzare il livello dei diritti sia alzare, in pari misura, quello dei doveri. Cioè che diventare italiani debba essere più rapido, più facile, con norme più accoglienti; ma esista un “prezzo d’ingresso” non trattabile, ovvero l’accettazione di regole condivise (il primo esempio che viene in mente è l’autodeterminazione delle ragazze); la messa in chiaro di rapporti di lavoro spesso sottaciuti e sottopagati (e questo riguarda più i datori di lavoro italiani che gli immigrati in cerca di lavoro); l’apprendimento della lingua, spendendo risorse per insegnarla, cosa attualmente lontanissima dalla realtà; e insomma stabilendo che l’accoglienza richiede un patto di intesa tra gli accoglienti e gli accolti: noi ti mettiamo in regola, ma che la messa in regola abbia successo è una cosa che dipende molto anche da te.

Bene. Anche nel caso, molto improbabile, che questo “piano migranti”, con i suoi bravi pesi e contrappesi, vedesse la luce, rimarrebbe intoccata la vera causa delle profonde divisioni che le grandi migrazioni della nostra epoca (e probabilmente tutte le precedenti) producono nelle società di approdo. Il concetto stesso di nazione, di Italia, di “identità nazionale”, è radicalmente diverso a seconda che lo si consideri come un presidio etnico-culturale ben definito, e sostanzialmente immutabile, o una comunità cangiante, permeabile, del tutto indifferente alla sua composizione etnica e religiosa e attenta solo alle regole di concittadinanza.

È una differenza enorme. Per uno come me, e penso per parecchi di voi lettori, la presenza di “nuovi italiani” somaticamente diversi rispetto alle precedenti generazioni non è affatto ragione d’ansia, o di disorientamento. Esattamente al contrario, è un’immagine di energia, di cambiamento, di ringiovanimento. Non sottovaluto i problemi dell’impatto culturale e dell’integrazione, ma li affronto, come dire, di buon umore. Come una novità importante e impegnativa, ma vitale, interessante. Che mi porta qualcosa di nuovo e di potente, e soprattutto non mi mette a repentaglio. Io rimango io anche se il mio nuovo vicino di casa è molto diverso dal precedente.

Per chi, diversamente da me, è convinto che “italiano” sia, se non proprio il nome di una razza, parola ormai impronunciabile anche per i razzisti, la definizione di un popolo che ha quella faccia, quella religione, quella tradizione, quell’assetto familiare, insomma Dio Patria e Famiglia, e non dimentichiamoci che Dio Patria e Famiglia sono attualmente al governo; per loro, dicevo, l’ansia non può che essere proporzionale all’evidente sconquasso sociale, culturale e somatico che li circonda. Per loro l’Italia non è e non deve essere un luogo in movimento, e anche se gli dite che lo è sempre stato (provate a fare una piccola ricerca sulle infinite etnie che, stratificandosi, hanno generato la “razza italiana”), rifiutano disperatamente di prenderne atto. «Paola Egonu non rappresenta l’italianità», disse il generale Vannacci, e a niente vale opporgli ogni possibile informazione su quanto sangue africano, arabo, semita, sarmatico, germanico, slavo, mongolico sia stato miscelato, nei secoli, per comporre quel cocktail genetico che siamo.
A niente vale anche la scienza, le ripetute spiegazioni dei genetisti sui grandi svantaggi della endogamia e sui grandi vantaggi della contaminazione. È la paura di “imbastardirsi”, orribile concetto oramai in disuso anche per dire dei cani, a dominare la psicologia degli “italiani veri”. Anche quelli che non lo dicono, lo pensano.

Al massimo, per giustificare la loro xenofobia, i più agguerriti tra loro la camuffano da premura sociale: sono le periferie e i ceti popolari a pagare il prezzo dell’immigrazione, dicono polemicamente a quelli delle ZTL. Come se non lo sapessero già, quelli delle ZTL; e come se “prima” la criminalità e l’insicurezza fossero equamente spalmate su tutto il territorio, e non fosse del tutto chiaro anche “prima” che la vera differenza non è tra indigeni e immigrati, è tra ricchi e poveri. Le galere sono piene di immigrati non perché gli immigrati sono cattivi, ma perché sono poveri. Il nemico delle persone coscienti di come funziona il mondo non è lo straniero, è la povertà.

La paura è importante. In una certa misura, è anche un sentimento rispettabile. Bisogna tenerne conto, non disprezzarla. È anche dentro di noi: perfino il più cosmopolita degli italiani, quando cammina in quartieri, diciamo così, molto cambiati come fisionomia umana negli ultimi anni, per quanto non sia ostile, per quanto si senta curioso e bendisposto, avverte anche un brivido di spaesamento e di preoccupazione. Non si devono maledire i paurosi, dunque, tranne che quando i paurosi diventano feroci. Ma bisogna sapere, anche, che non sono possibili compromessi tra le due idee di Italia: quella degli italiani secondo etnia non è, e non sarà mai, quella degli italiani secondo cittadinanza. Ognuno di noi può decidere quale delle due debba prevalere, e i referendum ormai alle porte saranno una delle tante buone occasioni per farlo.

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E come coronare degnamente qualunque discorso su migranti, etnie, razzismi, provincialismi, se non con un pezzo di satira sui leghisti? Questo è dell’aprile 2010, credo di averne scritti a decine, tra Cuore e l’Espresso, anche considerando il fatto che la Lega è il più antico partito italiano, con i radicali, tra quelli ancora in attività. Nata nell’84 come Lega Lombarda, diventata Lega Nord agli inizi degli anni Novanta, attualmente Lega per Salvini Premier, per dire come possa rimpicciolirsi l’orizzonte. Il lettore noterà come, quindici anni fa, nemmeno la satira più efferata poteva supporre che l’aeroporto di Malpensa si sarebbe chiamato, un giorno, aeroporto Berlusconi. Rinfranca constatare che nessuno lo chiama così, e probabilmente anche i familiari di Berlusconi, quando ci devono andare, dicono all’autista “andiamo alla Malpensa”.

“La Lega si prepara a governare e le nuove responsabilità rendono necessario un salto di qualità epocale. Il vecchio folklore padano non è più all’altezza. Basta con il mito valligiano della polenta, una vera cultura di governo deve allargare i propri orizzonti e nei ristoranti veneti e piemontesi verrà introdotto il sushi. In appositi corsi le massaie leghiste stanno imparando a fare i rotolini con la polenta. Disponibile in doppia pezzatura, da mezzo chilo e da cinque chili, il sushi di polenta assomiglia molto a una rotoballa e per essere portato alla bocca richiede, al posto delle tradizionali bacchette, due stecche da biliardo. Ma vediamo quali sono gli altri principali impegni della nuova Lega di governo.
Malpensa – L’aeroporto di Varese, nato per scherzo allungando una pista di bocce, attira curiosi da tutta Europa. Ora, per attirare finalmente anche qualche passeggero, avrà finalmente il suo assetto definitivo. La rimozione delle bocce dalla pista è quasi ultimata. Lo scalo non si chiamerà più Malpensa, ma MALPENSA, tutto maiuscolo, per adeguarlo alle nuove sfide. La distanza da Milano sarà finalmente annullata grazie a un ingegnoso espediente: l’istituzione di un apposito fuso orario di Varese farà sì che chi sale sul treno a Milano alle 8, arriva a Malpensa alle 7 ora locale, guadagnando un’ora secca. I voli di linea Varese-Singapore e Varese-Johannesburg rimangono i pezzi forti dell’offerta, anche se lo scalo a Bergamo per rifornirsi di carburante, a Verona per far salire le hostess e a Udine per verificare che i bagagli siano a bordo, non sembrano dettati da motivi tecnici, bensì dal desiderio di dare un assetto federalista anche all’aeronautica italiana.
Famiglia – La famiglia tradizionale, con il marito che bestemmia in canottiera, la moglie che cucina con i bigodini in testa e i figli che si sputano in faccia per il controllo della playstation, rimane il cardine della società: i valori cristiani non si discutono. Sono però ammesse delle varianti: per esempio il marito che sequestra la playstation in canottiera e la moglie che bestemmia. Apertura anche sulle unioni omosessuali: saranno tollerate se almeno uno dei due partner indossa la canottiera, e l’altro finge di chiamarsi Marta per non urtare la suscettibilità dei vicini di casa.
Ambiente e territorio – Il tradizionale modello padano, capannoni e villette a schiera, sarà perfezionato con la realizzazione di capannoni a schiera, con abitazione sul retro. I nanetti da giardino sono ritenuti inadeguati allo stile della nuova classe dirigente padana, e saranno rimpiazzati con i più imponenti giganti da giardino, raffiguranti Polifemo o Gargantua in atteggiamento minaccioso per intimidire gli immigrati. Il geometra comunale, come il giudice, il vescovo e l’ostetrica, sarà eletto direttamente dal popolo e avrà il compito di perlinare l’intero territorio. I vecchi cartelli comunisti ‘paese denuclearizzato’ saranno sostituiti con il cartello ‘paese perlinato’.
Energia – Centrali nucleari federali sorgeranno in ogni provincia, e saranno affidate ai pensionati. La figura del ‘nonno atomico’, che ogni mattina va in centrale a stringere i bulloni del reattore e a spazzare le scorie dal cortile, è destinata a diventare molto popolare tra i bambini a causa della fosforescenza del nonno e del naso supplementare che spunta sulla fronte. Tra le fonti di energia alternativa, scartata l’ipotesi delle centrali a polenta, che richiedono troppa mano d’opera per mescolare, si fa strada la volontà di puntare sulle centrali a carbonella. Sono molto efficaci per il controllo delle polveri sottili: emettono grossi fiocchi neri, unti e arroventati, che fanno considerare del tutto trascurabile il problema delle polveri sottili.
Cultura – Eh?”

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Zanzare non clamorose, questa settimana, non da torte in faccia. Ma con quel tratto di incantevole surrealtà che accompagna da sempre certi titoli di giornale. Per esempio questo, dalla Stampa, segnalato da Corrado:

NAUTICA, GLI SVIZZERI PUNTANO SULLE ALPI
“A TORINO INVESTIMENTI PER 24 MILIONI”

Ovviamente, niente impedisce agli svizzeri di produrre motori marini, tanto meno di produrli a Torino. Ma il rapporto tra la nautica e le Alpi, non c’è niente da fare, diverte comunque. Aldo segnala dal Corriere della Sera, pagine di Brescia, questo fatto misterioso:

MUORE A SOLI 20 ANNI
DOPO UNA LITE CON L’ AMICO.
ASSOLTO ANCHE IN APPELLO

È molto probabile che l’assolto in appello non sia il morto. Ma è la sagacia del lettore a doverlo stabilire. Infine una mia segnalazione, da Repubblica on line:

CHICAGO, DROGA E PISTOLE NELLA VILLETTA
DELL’INFANZIA DI PAPA LEONE. “ORA UN SEGNO DI DIO”

La lettura dell’articolo sottostante chiarisce: droga e pistole non le ha lasciate lui. Restano i dubbi sul “segno di Dio”. L’elezione di Prevost a papa vale come indulgenza per la villetta? Può considerarsi mondata dalle sue colpe? È forse il primo passo verso il disarmo mondiale, che tutti auspichiamo?

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Il Po è ancora pieno, l’acqua lambisce i rami degli alberi sulle rive, molte delle aree golenali restano allagate alcune settimane dopo la grande piena di aprile. Ha piovuto molto, è un maggio instabile, con cieli abbastanza spettacolari, passaggi impetuosi di nuvole bianche e di nuvole nere, il vento cambia lo scenario ogni pochi minuti. «Sembra il cielo di Barry Lyndon», penso sempre quando vedo un cielo particolarmente bello, e lo dico anche, incurante del fatto che chi mi sta vicino me lo ha sentito dire già centinaia di volte. Ma è gentile, e non me lo fa pesare. La ripetitività delle conversazioni può minare il più solido dei rapporti di coppia, ma può anche ritualizzarlo – e il rito è un momento importante, conferma e fortifica.
Dunque lo ripeto anche a voi: ho visto dei cieli, negli ultimi giorni, che mi sono sembrati belli come il cielo di Barry Lyndon. In alto i cuori.