Un social network per Trump e Salvini

Una sentenza di un tribunale di New York di qualche mese fa ha stabilito che il presidente Trump non dovrebbe bloccare su Twitter nessuno poiché il suo profilo è – di fatto – un profilo politico e non personale e come tale sottoposto al Primo Emendamento. Siccome la sentenza era una cretinata l’effetto – prevedibilissimo – che ha prodotto è stato che qualche giorno fa alcuni attivisti di estrema destra hanno fatto causa a Alexandria Ocasio-Cortez per averli bloccati su Twitter.

Sospetto che la storia non finirà qui, né di là dall’oceano né dalle nostre parti dove, giusto oggi, abbiamo saputo dall’avvocato di Carola Rackete che la sua cliente non solo ha querelato il ministro dell’Interno Salvini per diffamazione ma ha chiesto che siano sequestrati i di lui profili Twitter e Facebook.

Nonostante io sia tutt’altro che un fan del leader leghista sono costretto a dire che anche la richiesta di sequestro dei profili social di Salvini è una cretinata, e non perché non sia plausibile, ma per il semplice fatto che, esattamente come nei casi americani citati poco fa, rifiuta di accettare la complessità delle relazioni fra le persone sui social network e invade spazi personali che andrebbero invece tutelati il più possibile. Del resto non è casuale che proprio le piattaforme social più utilizzate si trovino oggi, per le medesime ragioni, per il loro non essere né carne né pesce, nell’occhio del ciclone. Youtube che rivede la propria policy sui contenuti alt-right, Twitter che blocca alcuni storici profili della destra USA che da anni spargono bugie travestite da notizie, Facebook, che in un tentativo silenzioso di sottrarsi ai grossi guai nei quali è finito dopo i casi Cambridge Analytica e simili, decide addirittura di cambiare modello, decidendo di concentrare il proprio business sulle relazioni private dei suoi clienti, in luoghi molto più riparati e meno politicamente conflittuali delle pagine Facebook che tante polemiche suscitano oggi in tutto il mondo.

Contemporaneamente occorrerà ammettere che, nel momento in cui Internet è diventato un luogo di relazione molto ampie, le prassi di autoregolamentazione per lungo tempo utilizzate da quelle parti hanno mostrato la corda fino, in alcuni casi, a spezzarsi. Anche in questo risiede l’assoluta plausibilità di certi pronunciamenti in tribunale e di certe richieste della parte lesa: richieste che invadono in maniera netta spazi decisionali che fino a ieri erano pacificamente delle piattaforme. Le quali, come è noto, hanno una policy e dei termini di servizio e che, in base a queste linee di condotta, che i loro utilizzatori firmano (anche Trump e Salvini), decidono poi caso per caso il da farsi. Inutile ricordare che nessuno è obbligato a firmare nulla e che Twitter e Facebook sono lungi dall’essere ambiti necessari e insostituibili.

Continuo a pensare che nel momento in cui Twitter decidesse di chiudere il profilo di Donald Trump per violazione dei termini di servizio, non solo non saremmo di fronte a nessuna censura (come scrisse tempo fa Conor Friendersdorf, Trump come presidente degli Stati Uniti davvero non ha problemi di visibilità) ma l’ecologia complessiva del sistema ne gioverebbe. Così come penso che Matteo Salvini si meriterebbe da tempo gli strali di Twitter o di Facebook per la quota insopportabile di falsità e violenze che ciclicamente alcuni suoi messaggi contengono. Ma non dovrebbe essere un giudice ad imporlo, bensì i gestori della piattaforma per loro insindacabile decisione. I giudici decidano sui reati previsti dal codice penale che possono essere commessi per strada, in piazza, in TV o su un profilo Twitter e Facebook, ma lascino stare la gestione ordinaria dei luoghi di rete ai loro creatori.

Nella peggiore degli ipotesi Trump, Salvini ed altri soggetti del genere potranno scegliere fra due opzioni entrambe, dal mio punto di vista, allettanti. Farsi una vita fuori da Internet (come si diceva un tempo), o iscriversi ad un social network tutto loro, nel quale – verosimilmente – i loro fans accorreranno ad applaudirli in gran numero.

Massimo Mantellini

Massimo Mantellini ha un blog molto seguito dal 2002, Manteblog. Vive a Forlì. Il suo ultimo libro è "Dieci splendidi oggetti morti", Einaudi, 2020