Ne è valsa la pena?

1. Quasi tutto quello che è stato interessante leggere sull’attentato di Parigi l’ho letto tramite la mia Home di Facebook.

2. Mi sono sentito molto soddisfatto della mia Home di Facebook: chi tra i miei amici ha postato status sull’argomento ha dimostrato intelligenza, o quantomeno la misura giusta di sagacia, di modo che se anche non tutto era profondo, quantomeno risultava piacevole da leggere.

3. Chi invece ha postato dei link mi ha aiutato a farmi un’idea della complessità, non tanto della vicenda, quanto delle sue implicazioni.

4. Avere contatti Facebook intelligenti ha reso un po’ meno scemo anche me.

5. Mi dicono che in questo senso Twitter sia meglio ancora, ma a questo punto penso di non essere all’altezza.

6. Tra le cose “istituzionali” che ho letto, forse perché è stata una delle prime, quella che mi ha colpito di più è l’articolo uscito a caldo sul Financial Times on line. La tesi era che:

[…] some common sense would be useful at publications such as Charlie Hebdo, and Denmark’s Jyllands-Posten, which purport to strike a blow for freedom when they provoke Muslims.

In italiano:

[…] sarebbe utile un po’ di buon senso nelle pubblicazioni che pretendono di sostenere la libertà quando invece provocano i musulmani. [la traduzione l’ho presa dal sito di tgcom24]

7. All’inizio ho provato un po di fastidio per questa posizione (che è stata un po’ annacquata dai vari aggiornamenti e ampliamenti apportati in seguito all’articolo: all’inizio c’erano espressioni come stupidità editoriale e il Charlie Hebdo veniva definito non certo un campione della libertà di espressione).

8. Poi però l’ho associata a certe cose che ha scritto in proposito Luca Sofri su Wittgenstein, e ad altre che aveva già scritto a proposito delle vignette danesi e che ha poi riproposto in questi giorni, e credo di aver compreso un po’ meglio cosa intendessero dire quelli del Financial Times.

9. Come dice Luca Sofri, una volta avvenuto l’attentato, quelle vignette diventano un simbolo e vanno difese comunque, anche se non ci piacevano particolarmente: solo e soltanto chi le disegna può decidere se è o non è il caso di pubblicarle, e se decide per il no, non può essere per paura che qualcuno ti venga a sparare.

10. Il punto del Financial Times però non è il “dopo l’attentato” ma il “prima dell’attentato”. Cioè a dire: quelle vignette così provocatorie meritavano di essere pubblicate anche a rischio di provocare la prevedibile reazione violenta di qualche fanatico o terrorista?

11. Ecco, per me il Financial Times voleva porre questa domanda. E rispondere: no, non lo meritavano, non valevano la pena.

12. Nel senso che quelle vignette non spostano in avanti la conoscenza di un fenomeno (il fondamentalismo, la religione , il nostro rapporto con la religione, il rapporto tra religione e laicismo ecc.) né sono artisticamente così rilevanti da spalancare una nuova comprensione dei fatti o delle idee. Perché allora tanto accanimento nel rivendicare il diritto a pubblicarle?

13. Per una questione di principio. Per dimostrare coi fatti che nessuno può mettere un bavaglio a un giornale: il direttore del Charlie Hebdo, pur avendo subito minacce e essendosi visto assegnare una scorta, preferiva pubblicare qualsiasi cosa fosse venuta in testa di disegnare o scrivere ai suoi collaboratori, senza alcun timore di rappresaglie violente, anzi addirittura dichiarando di preferire morire in piedi che vivere strisciando.

14. Bene, secondo l’articolo di Financial Times si tratta di una posizione fanatica. Fanatica nel senso di priva di common sense, cioè di buon senso.

15. Faccio un paragone eccessivo tanto per spiegarmi (si parva licet) ma di fronte a un’organizzazione che era assai decisa a censurarne le idee (la santa inquisizione), Galileo Galilei decise di ritrattare. Si limitò a dire: vabbè’, eppur si muove, però facciamo come volete voi, basta che mi lasciate in pace. E non è che avesse disegnato una vignetta: aveva scoperto una cosa fondamentale, scritto un saggio che avrebbe cambiato il corso della scienza e del progresso umano. Fu vigliaccheria?

16. Se ho capito bene il ragionamento, per Financial Times no, non fu vigliaccheria, fu common sense. Cosa ci avrebbe guadagnato in più l’umanità se lui fosse morto? Un esempio di eroismo? All’umanità Galileo non serviva come esempio di eroismo: all’umanità Galileo serviva per sapere che non è il sole a girare attorno alla Terra bensì viceversa.

17. Galilei ebbe il common sense di giocare d’astuzia, ed evitare le conseguenze aberranti che gli si presentavano davanti nel caso in cui avesse insistito con ostinazione a rivendicare il suo diritto di scienziato a lasciare la fede religiosa fuori dalla ricerca sperimentale e scientifica.

18. Bene, io dopo, con un poco di calma, mi sono convinto che effettivamente forse il Charlie Hebdo poteva essere più prudente. Senza che nessuno glielo imponesse, ovviamente: per scelta sua.

19. Però a questo punto, visto come si vanno mettendo le cose qui in Europa, ho fatto il passo successivo e mi sono chiesto: i giornali come il Charlie Hebdo potrebbero essere più prudenti oppure dovrebbero essere più prudenti?

20. Perché la vera domanda che pone il terrorismo, o meglio il dilemma che da sempre pone qualunque forma di terrorismo, è: in un contesto in cui ci sono una serie di pazzi pronti a saltarti al collo, certi atteggiamenti andrebbero evitati (o quantomeno ridimensionati) per la sicurezza della collettività?

21. Per stare al caso: liberissimo di mettere a repentaglio la tua vita pur di disegnare una vignetta che ridicolizza Maometto. Ma sei libero di mettere a repentaglio anche quella dei condomini che abitano al piano di sotto di dove il tuo giornale ha la redazione? Di una o due o tre persone che salgono le scale in quel momento? Della guardia giurata che sta in portineria?

22. E ancora: ti va davvero di far sentire insicura un’intera città, se non addirittura una nazione o un continente, per difendere il tuo diritto di pubblicare un disegno o un articolo di questo tipo, cioè un articolo o un disegno che in nulla ci rende più sapienti o più intelligenti o più informati, e il cui unico valore consiste nel rivendicare il diritto (sacrosanto in condizioni normali, per carità) di provocare chiunque ti vada di provocare?

23. Io ho il diritto di indossare una sciarpa coi colori rosa nero. Nessuno me lo può negare. Posso decidere di indossarla comunque, a tutti i costi, anche quella domenica che c’è il derby col Catania, dentro a uno stadio pieno di imbecilli che se vedono una sciarpa rosa nero sono disposti a picchiare e perfino ad accoltellare. E decidere di non toglierla neanche se mi accorgo che sono in compagnia di altre persone che non vogliono ostentare nessuna sciarpa, ma solo guardare la partita e basta.  E anzi ostinarmi a indossarla proprio per rivendicare il mio diritto di indossare sciarpe rosa nero senza che nessuno mi picchi o mi accoltelli. Posso, è un mio diritto, così come è un mio diritto difendere questo mio diritto. Ma è un atteggiamento sensato? C’è common sense o fanatismo in quello che faccio? Il contesto in cui mi trovo a decidere se fare o non fare qualcosa determina o no la quota di libertà a cui mi conviene rinunciare? Oppure la libertà va utilizzata sempre e comunque tutta quanta?

24. Non è che secondo me ci sia una risposta definitiva e assoluta, però forse cominciare a domandarsi che linea tenere riguardo questo tipo di cose potrebbe purtroppo essere necessario, e allora il Financial Times ha detto qualcosa su cui riflettere  meglio.

25. La seconda cosa a colpirmi molto è stato il ragionamento di alcuni miei contatti Facebook piuttosto svegli, che subito si sono detti non più disposti a transigere su un principio:  chi vive in un paese occidentale come la Francia deve necessariamente sposarne i valori di libertà di espressione e di tolleranza delle idee e delle diversità, altrimenti la convivenza è impossibile.

26. È un principio che sposo pure io. Però c’è questo fatto: che quasi subito si è saputo che gli attentatori sono francesi. Cioè, seppure di origini extracontinentali, sono persone nate, cresciute, vissute e istruite in occidente.

27. Quindi forse qualcosa non quadra. Se l’occidente avesse reso effettivi questi valori di libertà di espressione, di tolleranza delle idee e della diversità su cui si fonda la sua cultura, probabilmente questi due non sarebbero mai stati sfiorati dall’idea di compiere un attentato contro un giornale satirico.

28. Allora forse l’occidente questi suoi valori non li sa trasmettere. Nel senso che forse non li spiega e non li insegna proprio a tutti quanti quelli che vivono in occidente. O forse è più che altro che questi valori di tolleranza su cui fonda la sua cultura poi nella vita di tutti i giorni l’occidente non li pratica tantissimo. Oppure non li pratica allo stesso modo con tutti.

29. O forse non è nemmeno questo. Forse è che in qualche modo ci sono alcune persone che sentono che questi valori di tolleranza con loro si applicano fino a un certo punto, se ne sentono sempre un poco fuori, oppure ammessi con riserva, e quindi pensano che i valori di tolleranza su cui l’occidente fonda la sua cultura per loro rimangono un po’ lettera morta.

30. E magari quelli che fanno proselitismo per il fondamentalismo islamico e che reclutano i fanatici in giro per il mondo se ne approfittano e fanno in modo che chi si sente un po’ escluso dalla cultura del paese in cui abita, si senta invece un po’ più accolto dalla cultura del paese da cui venivano i suoi genitori, o i suoi nonni o i suoi antenati.

31. E là cominciano i problemi. Nel senso che a quel punto basta approfittare del gioco delle contrapposizioni e subito si mettono in moto i meccanismi del noi contro di loro.

32. Io tendo a pensare che non è tanto dove si nasce e dove si cresce: l’occidente (come l’oriente?) produce sia la tolleranza che l’intolleranza, e non è detto che sotto una dittatura nascano e crescano per forza individui antidemocratici, così come non è detto che in un paese democratico nascano e crescano solo individui democratici.

33. Secondo me si nasce e si cresce un po’ a minchia di cane dappertutto, così, a seconda di quello che ti va capitando nella vita. Perciò mi sembra un po’ insensato assegnare la responsabilità di un assassinio o del terrorismo a una cultura oppure un’altra: quelle sono cose che fanno le persone, non le culture o i valori.

NB: I punti dal 27 in poi sono tendenzialmente filoislamici perché non si sa mai.

Mario Fillioley

Ho tradotto libri dall'inglese in italiano. Poi ho insegnato italiano agli americani. Poi non c'ho capito più niente e mi sono messo a scrivere su un blog con un nome strano: aciribiceci.com