Le regole illogiche per le primarie

Continuo a voler attribuire buona fede a chi lavora perché le primarie del centrosinistra siano costruite nel modo più equo e democratico possibile, e per ottenerne il miglior risultato per il centrosinistra: ovvero il candidato preferito dalla maggioranza dei potenziali elettori del centrosinistra (me compreso, per esempio).

In quest’ottica, non mi interessa andare a cercare cattive intenzioni o danneggiati eventuali nelle scelte sulle regole. Mi interessa capire se sono regole che favoriscono il risultato detto. E ci sono almeno tre casi in cui le scelte fatte mi pare vadano da un’altra parte: ma magari chi ha prodotto e avallato queste regole può spiegarmi meglio.

1. La tortuosità dei processi di registrazione ipotizzati.
Se introdurre nuovi meccanismi di registrazione serve a evitare brogli – trascuriamo qui la consistenza reale di questo rischio – non si capisce perché non basti un rapido e facile sistema di registrazione online, o tramite sms. Voi mandate un sms col vostro codice fiscale e numero di tessera elettorale e siete registrati in un database. O lo fate online. Dopo, andate a votare con un documento e la tessera elettorale, al seggio controllano che siate nel database, finita. Molto più sicuro e gestibile che non i luoghi con le persone a lavorare e le registrazioni da raccogliere eccetera.
L’unica obiezione coerente che sento a questo sistema è che sia troppo facile: nel senso che alcuni dicono che proprio un processo tortuoso e impegnativo garantisce che a votare vadano solo coloro che sono davvero motivati. Che è vero di certo, ma è un ragionamento che non si è  mai sentito in un processo democratico: normalmente facciamo di tutto per favorire la partecipazione al voto, non per inibirla. Cerchiamo di rendere le cose più facili, non più difficili. Se volessimo dissuadere dal voto quelli che non sono abbastanza motivati, faremmo un seggio elettorale solo in ogni città, e magari in un posto difficile da raggiungere; o chiederemmo ai cittadini di andarsi a ritirare la scheda elettorale in un’altra provincia. State sicuri che la democrazia ne godrebbe in termini di elettori motivati e disposti a spendersi per il loro voto.
Ma non è così che l’abbiamo pensata, finora: il PD pare abbia cambiato idea. Più che una democrazia, una sforzocrazia, in cui vale di più il voto di chi si sbatte. Interessante, ma forse una rivoluzione di cui si dovrebbe discutere e che tira in ballo, questa sì, nuovi significati di cosa sia la sinistra.

2. Il voto ai minorenni.
Certo, è strano che in mille primarie prima di queste il PD abbia consentito a far votare i sedicenni, e qui che i sondaggi e le impressioni danno una gran quota di minorenni a favore di Renzi, questa scelta sia abbandonata. Ma giudicandola laicamente, è una scelta che ha senso: era strano prima, e un po’ assurdo, che si facesse partecipare alla scelta del candidato persone che non avrebbero poi potuto votarlo. E se un partito pensa che i sedicenni abbiano diritto di esprimere la loro scelta, non si capisce come mai non ci faccia una battaglia a livello nazionale. Quindi va bene che votino solo quelli che possono votare alle elezioni nazionali.
Quindi coloro che avranno 18 anni alla scadenza della legislatura, come già fu nel 2005. Invece  no: a queste primarie possono votare solo quelli che abbiano già compiuto 18 anni. I nati a gennaio 1995, che alle elezioni voteranno, alle primarie non votano. Non ha senso.

3. Il voto agli immigrati.
Far votare gli immigrati con permesso di soggiorno può essere cosa buona e giusta. A patto, anche qui, che si ritenga giusto che votino anche alle elezioni legislative: e si annunci nel proprio programma di voler approvare una legge in questo senso. Al momento però, gli immigrati che voteranno alle primarie non possono votare poi alle elezioni: il loro voto è quindi completamente disgiunto dal consenso elettorale reale del candidato. Esattamente il contrario di quel che avviene con i quasi maggiorenni, che invece votano alle elezioni e non possono votare alle primarie. In più, nei casi di primarie discusse o contestate, sono stati proprio i voti di elettori immigrati a essere stati messi sotto accusa, negli ultimi anni (a Palermo, i sostenitori della candidatura Borsellino, compresa l’attuale leadership del PD, proposero vincoli e controlli speciali sul voto degli stranieri): ma stavolta che si enfatizzano per la prima volta rischi di brogli, simultaneamente si mostra invece che questi rischi non sono poi così preoccupanti.


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Luca Sofri

Giornalista e direttore del Post. Ha scritto per Vanity Fair, Wired, La Gazzetta dello Sport, Internazionale. Ha condotto Otto e mezzo su La7 e Condor su Radio Due. Per Rizzoli ha pubblicato Playlist (2008), Un grande paese (2011) e Notizie che non lo erano (2016).