Le primarie sono una pezza

Se partiamo dall’idea – è un “se” non retorico: c’è chi non ne parte per niente – che la democrazia rappresentativa sia più equilibrata ed efficace della democrazia diretta, e che la nostra Costituzione faccia bene a prevederla, è perché è un sistema che implica la delega a persone che abbiano speciali competenze, qualità e capacità, scelte dal popolo. E che questo limiti i rischi dovuti al fatto che se le decisioni fossero affidate sistematicamente al vaglio della volontà popolare probabilmente non verrebbero prese con la sufficiente dose di informazioni e valutazioni necessaria a farle essere delle buone decisioni. Noi scegliamo chi sia bravo, e gli diciamo fai tu: salvo tenerti d’occhio e avere degli strumenti straordinari per intervenire eventualmente.

Al tempo stesso gli “eletti” devono essere messi nelle condizioni di fare ciò che la loro qualità ed eccezionalità per quel ruolo gli dice essere giusto e sensato, senza il ricatto o l’intralcio di contestazioni e opposizioni sistematiche e potenzialmente non sufficiente informate: devono persino essere liberi di prendere “decisioni impopolari”. Dimostrano e convincono di saper fare le cose che dovranno fare, e dopo noi gli consentiamo di farle.

Questo meccanismo in Italia è andato molto in crisi, per colpa di due fattori aggrovigliati e che si esaltano a vicenda: la nostra democrazia non è sufficiente informata, e negli ultimi vent’anni si è sviluppata su temi e comunicazioni sempre più superficiali e demagogici che sono andati di pari passo con un crescente impoverimento culturale della nostra società. Siamo ignoranti, siamo egoisti, quindi facciamo scelte stupide (convinti di saperla lunga, per giunta).
Secondo fattore: le nostre classi dirigenti hanno via via perso quei tratti di straordinarietà e qualità che avrebbero dovuto avere, un po’ per colpa nostra e un po’ per colpa loro. Quelli che sapevano fare un po’ di cose li abbiamo beccati che però tiravano anche a fregarci, e non ci siamo fidati più e ci siamo buttati su rappresentanti che ci sembrassero più simili a noi, cioè più mediocri. La politica è diventata terreno dei mediocri, quelli bravi sono andati a fare altro, o abbiamo smesso di votarli, per diffidenza (chi vi credete di essere?).

L’ho fatta un po’ lunga, per dire una cosa sulla vituperata legge elettorale e sul blocco delle preferenze: una cosa ovvia, ho capito poi, ma che mi ha fatto realizzare per la prima volta Ivan Scalfarotto due settimane fa, accennandola in un dibattito. Ed è che in un paese democratico e normale, in cui la coscienza civile e politica dei cittadini sia soddisfacente ma anche “normale”, con i limiti e le incompetenze medie, con le suggestioni umane ed emotive che abbiamo tutti, anche quelli di noi che pensano di agire sempre razionalmente, insomma in un paese così, le preferenze bloccate e affidate ai partiti sarebbero un’opportunità eccellente e proficua per costruire una classe dirigente all’altezza: uno strumento di compromesso che mette d’accordo i principi democratici e la libertà di scelta di tutti con l’idea che scelte importanti siano da affidare o far filtrare da persone competenti. Partiti di gente seria e attenta al bene comune compilerebbero con nomi affidabili e di qualità le liste, con la lungimiranza di chi vuole affidare il futuro del paese (e del partito) a teste fertili e ammortizzando la naturale inclinazione di noi elettori a inserire delle componenti di superficialità e irrazionalità nelle nostre scelte. La maggior parte di noi non conosce esattamente tutto dei candidati, non ha motivi approfonditi e lucidi per estrarne dal cappello uno o più d’uno, non ha gli strumenti per fidarsi, e molti di noi votano chi vedono in tv, o con criteri del genere.

Voi direte: non c’è bisogno delle liste bloccate, basta rimettere le preferenze, comunque la scelta a monte è fatta dai partiti. E avete un po’ ragione, anche se i traffici di preferenze spesso superano anche le buone volontà dei partiti. Ma avreste ragione, forse. Quello che però è invece successo è che i partiti italiani questo potere di scelta a monte lo hanno usato malissimo, gettandolo via e perdendo completamente credibilità come filtro autorevole di competenze e capacità. Degli altri non ho bisogno nemmeno di parlare, ma persino il PD ha messo in lista alle ultime elezioni una quantità sensazionale di candidati palesemente non all’altezza (uso una generica formula eufemistica), da quelli che poi se ne sono andati, a quelli che sono stati indagati, a quelli che hanno fatto partiti loro, a quelli che erano parenti e basta, a quelli che erano trafficoni di preferenze, a quelli che – persone rispettabili – si sono semplicemente rivelati inutili a tempi difficili (non è che anche la parte benintenzionata di questa opposizione, per quanto debole nei numeri, si sia poi distinta per qualità dell’iniziativa). Ed è questo che ha generato il successo della strada delle primarie presso molti elettori di sinistra: l’evidente inadeguatezza delle leadership del PD a un regalo prezioso ricevuto, tra gli altri. Quello della costruzione e ricostruzione delle classi dirigenti successive. Quelli che ancora storcono il naso davanti alle primarie e dicono che poi si rischia che la gente voti il primo che passa, sappiano che hanno ragione, il rischio c’è: ma non sarà né il primo che passa, né il secondo, né il terzo, né il quarto. Quelli li hanno candidati loro all’ultimo giro.


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Luca Sofri

Giornalista e direttore del Post. Ha scritto per Vanity Fair, Wired, La Gazzetta dello Sport, Internazionale. Ha condotto Otto e mezzo su La7 e Condor su Radio Due. Per Rizzoli ha pubblicato Playlist (2008), Un grande paese (2011) e Notizie che non lo erano (2016).