Pelagio e il sultano malvagio

E adesso gli tagliate la gamba destra grazie.

E adesso gli tagliate la gamba destra grazie.

26 giugno – San Pelagio martire, trofeo di guerra

“Rodrigo!”
“Mio signore…”
“Come sta il prigioniero?”
“Neanche un graffio, mio signore”.
“Vorrei anche vedere, sai che ne risponderesti con la vita. Ma il morale?”
“Mi pare piuttosto spaventato”.
“Sì, eh?”
“Sta sempre nell’angolo della tenda, non vuole dare le spalle a nessuno”.
“Chissà per chi ci ha presi. Quanti anni avrà, secondo te?”
“Anche quattordici. Questi mori sono precoci”.
“Ma quale moro e moro, non l’hai visto? È biondo”.
“Dicevo gli occhi”.
“Gli occhi, già. Portalo qui, Rodrigo”.
“Chiamo il bardo?”
“Ma che bardo e bardo, servi una cena leggera piuttosto”.
“Subito”.

***

“Vieni avanti, vieni, non aver paura. Come hai detto che ti chiami?”
“Non ho detto niente, signore”.
“E dimmelo adesso”.
“Alì”.
“Figlio di?”
“Ibn Mohammed”.
“E ti pareva. E Mohammed era figlio di?”
“Alì”.
“Certo che voi infedeli, con rispetto, ma ci avete una fantasia coi nomi che non riesco a capire come possano le vostre madri riconoscervi…”
“Signore, abbiamo un solo Dio, e un profeta. Forse è per questo che abbiamo pochi nomi”.
“Ma senti il paggetto teologo, sentilo. Stai insinuando che noi cristiani abbiamo tanti nomi perché siamo idolatri? Anche noi abbiamo un Dio solo”.
“Ma ha fatto un figlio, a quanto mi risulta”.
“Ma senti che boccaccia. Lo sai che potrei farti frustare? Lo sai? Qua fuori ho tutti gli strumenti all’uopo, e i miei uomini non vedrebbero l’ora di sentire le urla di un infedele che…

Toc toc.

“Che c’è?”
“Mio signore, la cena”.
“Ah già, porta qui. Cos’hai?”
“Melone e prosciutto”.
“Melone e… ma sei fuori di testa? Ma ti pare il caso?”
“Mio signore, è tutto quel che c’è in cambusa, io pensavo che…”
“Pensavi, tu pensavi, ma lo vedi il ragazzino? Ma secondo te lo mangia il prosciutto, uno così?”
“E perché no, signore?”.
“Imbecilli. Sono circondato da imbecilli. Perché è un saraceno, razza di capra di Mursia!”
“Mio signore, con rispetto, ma… è un prigioniero”.
“E allora?”

“Scusate…”
“Che c’è, ragazzino”.
“Se non è un problema, io mi contento del melone”.
“Vede signore? Si contenta del melone”.
“Non abbiamo altro?”
“In questo momento no, finché non arriviamo a Toledo…”
“Uff, Toledo. Sparisci”.

***

“Ti piace il melone?”
“Molto”.
“Devi scusare il mio servo. È un imbecille. Ce n’è parecchi, qui. Questo è il motivo per cui la Riconquista va per le lunghe, sai”.
“Perché ci sono troppi imbecilli?”
“Altrimenti avremmo già espugnato Cordova da cinquant’anni e rispedito tutti gli infedeli al di là del mare. Voglio dire, che ci vuole. Fosse per me la faccenda si sistemerebbe in una primavera. Assedi Cordova in febbraio, Granada in marzo, e… ma non voglio rivelarti i miei piani”.
“Non sarei comunque in grado di capirli, signore”.
“Hai la risposta pronta, tu. Mi piaci. Voglio dire, mi piace come rispondi”.
“Non mi frusterete?”
“Magari sì, ti frusterò, adesso vediamo, per ora mangia. Vedi Mohammed… posso chiamarti Mohammed?”
“Mi chiamo Alì”.
“Alì, già. Vedi, vorrei che tu sapessi che anche se adesso ti può sembrare tutto orribile, la prigionia, le torture eccetera… vorrei che capissi che ci siamo passati tutti – a chi non è capitato di essere dato in ostaggio, o di essere rapito in una scorreria…”
“Avete impalato mio padre”.
“Tuo padre, lasciatelo dire, era un rompicoglioni che mi assillava dai tempi di Segovia. Aveva sgozzato mio cugino. Non che mio cugino non fosse anche lui un imbecille, anzi, avessi potuto scegliere tra i due non so chi avrei fatto fuori prima. Però adesso non cercare di impressionarmi con tuo papà impalato. Siamo in guerra, queste cose capitano”.
“Esiste solo la guerra?”
“Che io sappia sì”.
“Ma quando è cominciata?”
“Niente, qualche secolo fa gli infedeli sono arrivati per mare, han cacciato i Visigoti da tutta la Spagna tranne qualche castellaccio nelle Asturie, dopodiché…”
“Io avevo sentito dire che cominciò quando gli asturiani invasero il Califfato”.
“Eh, eh, certo, come no, siamo sempre noi quelli cattivi che cominciano”.
“Non è così?”
“No, avete iniziato voi. Non potevate starvene di là dal mare?”
“E prima che arrivassimo noi… non c’era la guerra?”
“Ce n’erano altre, contro i Bizantini, i Franchi… ma non è la stessa cosa. Io per dire contro un Franco non mi sarei mica messo a cavallo”.
“E perché?”
“Perché i Franchi sono tipi a posto. Sono cristiani. Tra cristiani ci si può andar d’accordo. Ma gli infedeli sono come i corvi in un campo. O mangi tu o mangiano loro. E loro non coltivano niente”.
“Ma veramente, i giardini di Cordova…” (continua…)

C'è anche una chiesa da qualche parte qui dentro.

C’è anche una chiesa da qualche parte qui dentro.

“…sono i più belli al mondo lo so, ma dicevo per metafora. Gli infedeli vivono di rapine, di scorrerie”.
“Signore, avete al collo l’oro di mio padre”.
“Ah sì? Scommetto che prima era di mio cugino. Noi, vedi, abbiamo un sistema che funziona. I contadini lavorano la terra, e i signori…”
“…mangiano?”
“Li difendono”.
“Li difendete da noi infedeli, quindi anche di noi c’è bisogno”.
“Sì, esatto. Però se la guerra la vinceste voi – cosa impossibile – ma sai che succederebbe? L’estinzione. Fareste piazza pulita della Spagna, vi mangereste tutto finché non crescerebbe più niente”.
“Ma è già successo che vincessimo, e la Spagna è ancora qua”.
“Certo, sì, conosco l’obiezione, ma l’ottavo secolo era una cosa diversa. I musulmani di allora non erano come voi. Cioè per certe cose erano peggio, erano barbari. Ma in fin dei conti non erano molto diversi dai barbari di prima. Gente rude che passa a cavallo, uccide chi gli si para davanti, e si prende la terra. Come prima di loro i Visigoti e prima di loro i Vandali. Ordinaria amministrazione”.
“Mentre adesso?”
“Adesso vi siete raffinati, vi siete inventati queste cose, le città… ma hai presente Cordova? Mi spieghi cos’è Cordova?”
“Non ci sono mai stato”.
“Ci sono stato io da bambino, sai che sono stato ostaggio di Mohammed Ibn Mustapha, magari lo conosci”.
“Conosco Mustapha Ibn Mohammed”.
“Magari è suo figlio”.
“Ha sessant’anni”.
“Allora no. Comunque Cordova è una città enorme, ventimila abitanti, te li immagini nello stesso recinto, ventimila cristiani…”
“Ventimila musulmani”.
“Che parlano, vendono, comprano, dalla mattina alla sera non fanno che vendere e comprare, e nessuno che coltivi un feudo come si deve…”
“Ma veramente i giardini…”
“Sì, lo so, i giardini, bellissimi, però non è una società quella lì, è un bordello. Non può andare avanti. Gente che urla anche di notte…”
“Il muezzin?”
“E poi il bordello, la rilassatezza dei costumi… tu sei giovane e queste cose ancora non le sai, ma se sapessi quel che fanno ai ragazzini…”
“Io sono un ragazzino”.
“Per l’appunto”.
“Nessuno mi ha mai fatto niente di male”.
“Forse eri ancora troppo giovane. In un certo senso sei fortunato, ti abbiamo strappato alle grinfie di una società pervertita, se solo potessi immaginare…”
“Signore, non credo di capire”.
“Beh, ti basti pensare a San Pelagio”.
“Non so di cosa state parlando”.
“Ma già, certo, da voi è vietato parlarne. Allora facciamo così: te lo racconto io, mentre finisci il tuo melone. Potresti anche innaffiarlo col moscato, che ne dici?”
“Non so cos’è, ma probabilmente non dovrei…”
“Assaggia, assaggia, non c’è niente di male. Pelagio, oh, Pelagio, se lo avessi visto, quando suo zio a dieci anni lo cedette come ostaggio al Califfo di Andalus! Pelagio era gentile, disponibile, paziente, il più immacolato dei figli di Dio; ma soprattutto, Pelagio era…”
“Devoto?”
“…bellissimo. Due labbra di ciliegia su un incarnato pallido, tanto più prezioso nel cuore torrido della Spagna – e gli occhi, due olive more, piccole, morbide, amare, che a momenti gliele avresti strappate e succhiate, oh quant’era bello Pelagio; e il Califfo, il perfido califfo, il vizioso califfo, se ne innamorò”.
“Mi sembra tutto, con rispetto, assai improbabile”.
“E invece non poteva andare diversamente, il Califfo essando vizioso, e ricco, ed esausto ormai di ogni piacere, senz’altra legge fuorché quella abominevole di voi infedeli…”
“Ma veramente da noi i sodomiti li bruciamo vivi. Oppure li lanciamo dai minareti a testa in giù, li lapidiamo, a volte le tre cose in sequenza ”.
“Lo vedi che siete dei selvaggi? Posso finire la storia? Dov’ero rimasto?”
“Dicevate che Pelagio era bellissimo”.
“Ah, sì, altroché. Un torso snello, atletico il giusto. Due polpacci non volgari, ma pronti a indurirsi, al minimo sforzo, come due mele renette, ché il perfido Califfo gliele avrebbe morsicate”.
“Essendo perfido”.
“Tre anni crebbe in lui questa demoniaca passione, finché un giorno, rimasto solo con lui, non cedette alla fiamma che lo divorava e Pelagio, urlò, Pelagio, convertiti e ti farò visir, ti farò emiro, sultano, quel che ti pare, ma baciami, Pelagio te ne supplico! Placa questo ardore, o sarai tu a bruciare”.
“E Pelagio?”
“Giammai, gridò, che io possa morire squartato piuttosto che rinnegare la mia fede! Tu perfido califfo, covo d’ogni sozzura, se vuoi il mio corpo dovrai prima farlo a pezzi”.
“E il califfo…”
“…Lo accontentò. Gli fece tagliare le braccia ben tornite, poi le superbe gambe, poi quel che restava ahinoi! Ma fino all’ultimo taglio non smise il bel giovine di rimproverare la lussuria del Califfo”.
“E poi?”
“E poi niente, quando i cristiani si resero conto di come i califfi trattavano i preadolescenti, ripresero la Conquista con rinnovato impeto. Perciò il sacrificio di Pelagio non è stato vano”.
“E voi come fate a sapere la storia? Ci sono testimoni oculari?”
“Ce n’è uno che conobbe personalmente Pelagio e riferì la storia a Rosvita di Gandersheim”.
“Perdonatemi, mai sentita”.
“È una monaca della Bassa Sassonia”.
“Una donna rinchiusa, insomma, in un posto molto lontano da qui”.
“Uff, quanto la fai lunga…”
“E questo testimone conobbe Pelagio in libertà o in prigionia?”
“Penso che ti farò frustare un poco, adesso”.
“Non vorrei sembrare scortese, ho molto gradito la storia…”
“Grazie! Rodrigo! Porta il frustino da sei millimetri, manette e…un paio di piume d’oca, perché no. Mi piacciono i preliminari lunghi”.
“… e mi domandavo se non potrei ricambiarvi il piacere raccontandovene una a mia volta, prima che disponiate della mia vita”.
“Vuoi raccontare una storia? Tu a me?”
“Il sole è tramontato ormai, è l’ora in cui con le mie sorelle ci sedevamo a raccontare e ascoltare storie, prima che arrivasse la guerra”.
“C’è sempre stata la guerra”.
“Non ci avevamo fatto caso. E lei non aveva fatto caso a noi”.
“Sei proprio un amore di ragazzino. Sentiamo la tua storia. Vorrà dire che ti torturerò domani”.
“C’era nel tempo dei tempi e negli anni passati un re della stirpe dei Sassanidi, che regnava nelle isole dell’India e della Cina”.
“Magari ti ammazzo pure, domani. Ti taglio la testa”.
“Il suo nome era Shahriyàr…”

Leonardo Tondelli

Da Modena. Nel 1984 entra alla scuola media, non ne è più uscito. Da 15 anni scrive su uno dei più verbosi blog italiani, leonardo.blogspot.com. Ha scritto sull'Unità e su altri siti. Sul Post scrive di Dylan e di altri santi del calendario.