Complotti

Da quando l’ho saputo ho smesso di dormire.

Per settimane. Sì, commissario. Settimane.

So che può sembrare eccessivo ma la rabbia che provavo, non mi abbandonava mai. Mi faceva tremare nel letto.

Guardavo il mio bambino, lo aiutavo a vestirsi e lavarsi la mattina. Lo vedevo per mano a sua madre, vedevo i loro sorrisi dolci. Le pieghe del grembiulino per l’asilo. La porta dell’appartamento che si apriva, la sagoma scura contro la luce del giorno, un riverbero che mi faccecava un istante e poi, immediato, il solito pensiero, insopportabile: stanno uccidendo mio figlio.

E stanno uccidendo mia moglie. E mia madre. E mio padre. E tutti i miei amici. E stanno uccidendo me.

Ci stanno avvelenando, commissario.

Presto compariranno sulla pelle i segni inequivocabili di questo avvelenamento. Già le sento agire, le sostanze, nel mio umore. Da quanto tempo viene irrorato il mio corpo? Da quanti anni respiro questi veleni?

Ci sono giorni in cui mi trovo fermo, al tavolo, davanti al monitor, le mani che non arrivano neppure alla tastiera. Lo schermo, fisso davanti a me. Sono senza parole. Sembro morto. Uno di questi morti seduti, ai quali una pallottola abbia trapassato i centri nervosi con tanta precisione e rapidità da non permettergli neppure di accasciarsi a terra. Mi sento morto così.

Insomma, ci sono delle sostanze che dal cielo, ogni santo giorno, piovono sulle nostre case, fin sui nostri letti, nei nostri bronchi, nel nostro sistema venoso. Ci cambiano. Ci rendono tristi. Schiavi. Distruggono le nostre difese. Ci fanno ammalare. Ci rendono schiavi.

Mio figlio. Il mio bambino.

Ogni giorno mio figlio respira quei veleni. Il governo segreto mondiale, o chi per loro, una di queste logge di massoni, illuminati, sionisti che decidono la nostra vita e la nostra morte, ogni giorno avvelena mio figlio. E mia moglie. E mia madre. E mio padre. I miei amici. Me.

Capisce Commissario?

Per questo, alla fine, ho sparato, Commissario.

 

Questa mattina, in una conversazione su Facebook, ad un simpatizzante del Movimento 5 stelle che mi rimproverava l’esistenza di Massimo D’alema ho risposto nel modo sbagliato.

Avrei dovuto rispondere: «Mi dici che cazzo c’entro io con Massimo D’alema? L’ho visto una sola volta in vita mia, quel D’alema. Stavamo alla Fininvest, negli anni 90, ero stato mandato da un settimanale a fare un reportage a fumetti. Ero molto più giovane e inesperto di adesso, avevo ancora degli ideali ben chiari e mi ero quindi dato una missione secondaria segreta: Tovare il Gabibbo e dargli un cazzotto dritto in bocca, per arrivare dove, immaginavo io, dovesse trovarsi la faccia della creatura che lo abitava, almeno in quegli anni.

Non so se il Gabibbo sia ancora vivo, e non so neppure se è ancora abitato dalla stessa persona. Immagino che se non è cambiato negli anni, se non esiste un programma periodico di sostituzione dell’anima del Gabibbo prima o poi ci troveremo con un vecchio dentro un pupazzo. Con questo caldo. Non è un bel pensiero.

Sia come sia, a lui, adesso, a questo signore che ha fatto quel mestiere usurante per tanti anni, devo chiedere scusa. Non si dovrebbe mai desiderare di cazzottare qualcuno che si è visto solo in tv.

Avevo svicolato in un corridoio, scivolando via dal tragitto obbligato che dovevo percorrere all’interno degli studi televisivi, in una visita guidata in attesa dell’evento clou della giornata, sottraendomi all’ombra della mole della security che ci accompagnava (eravamo un gruppo di giornalisti, io ero quello a fumetti) e mi ero sfilato nei corridoi di cartongesso, guidato dal mio istinto di cacciatore di animali antropomorfi rossi di grossa taglia.

Non trovai il Gabibbo. Finii nello studio di Ambra, poi in quello di Emilio Fede. Ne accarezzai il gobbo maledetto, proseguii e mi trovai nell’ufficio di uno dei dirigenti. Davanti alla scrivania campeggiava un dipinto che ritraeva la famiglia di Mike Bongiorno, al completo, in stile iperrealista. Olio su tela. Cm. 300×200. Un corriodio tutto tappezzato di fotografie di Columbro in costumi diversi. Columbro messicano con sombrero. Columbro pistolero. Columbro Piede Nero.

Vidi moltre altre cose quel giorno, ma delle quali sarebbe inutile scrivere adesso. Ero là per Massimo D’Alema e quando lo incontrai riuscii pure a scattargli una foto con la Polaroid. In quell’immagine, che ancora custodisco gelosamente, Massimo mi guarda dritto negli occhi (nell’obiettivo) e cerca di rubarmi l’anima.

Naturalmente, avendolo fotografato io, è più probabile che sia stato io a rubarla a lui.

Oppure le due forze si sono compensate e adesso le nostre due anime, quella mia e quella di Massimo D’Alema sono rimaste dentro il caricatore di una Polaroid anni 90. Ma questo è un pensiero troppo brutto, che non avrei mai dovuto concepire».

Avrei dovuto rispondere così a quel simpatizzante del M5s che questa mattina su Facebook identificava in Massimo D’Alema il male assoluto, e ne attribuiva a me la responsabilità per la sua esistenza. Invece gli ho suggerito di trovarsi degli amici determinati, un auto veloce, dei passamontagna e delle armi da fuoco e regolare la cosa così, come usava nel passato.

Insomma, se ritieni davvero che questo tizio, questo D’Alema, sia il male assoluto, eliminalo.

È una cosa orribile quella che gli ho scritto. Me ne rendevo conto già mentre digitavo le prime due lettere, eppure ero così stufo. Non ne potevo più di vedere identificare qualcuno con il male assoluto senza che questo determinasse una reazione proporzionata.

Perché, alla fine, non è di D’Alema che volevo parlare, è solo che da quella conversazione sono passato ad alcune teorie care al cospirazionismo. E qui sta l’oggetto di questo articolo.

Due giorni fa sono stato bannato dalla pagina di Rosario Marcianò, uno dei principali divulgatori di teorie del complotto italiani, per delle battute toscane.

Era suo diritto. Non me ne lamento.

Ma nei giorni seguenti mi sono trovato a pensare a lui, a tutti quelli che, come lui, sostengono che ci sia un governo segreto spietato che ordisce ogni giorno piani per avvelenarci, per modificarci geneticamente, per renderci schiavi. Dico, questi sostengono che nel cielo vengano asperse sostanze che ci fanno morire. Devo ripetere il termine? Morire.

Ecco, ora: io ho un figlio e una moglie che amo tantissimo. Ho una madre, un padre, degli amici, addirittura un me stesso al quale tengo moderatamente e mi sveglio ogni mattina con la convinzione che “qualcuno” ci sta avvelenando tutti. Che “qualcuno” finge attentati per renderci dei servi impauriti, che “qualcuno” si organizza in cerchie segrete e spietate che hanno come unico obiettivo lo sterminio di noi tutti, noi brave persone oneste.

Mi sveglio con questo pensiero, tutti i santi giorni e tutte le notti con questo pensiero mi corico e, ciò nonostante, non faccio niente? Non agisco?

Sì, ok, scrivo qualche riga sui blog, sui forum. Mi metto lì, con Photoshop, aggiusto qualche foto, prendo Vegas Video o Premiere e monto un filmato con spezzoni presi da Youtube che sottolineano l’esistenza di un governo segreto mondiale che ci vuole tutti morti ma, in sostanza, alla fine, di tangibile, non faccio proprio niente.

Ora, dico, come si può essere convinti della veridicità di queste teorie e non reagire, non armarsi fino ai denti e lanciarsi in una jihad di liberazione dell’occidente da questi segreti assassini?

Immaginiamo se i nostri padri e nonni partigiani avessero risposto allo stesso modo agli orrori nazifascisti. Produrre delle foto in bianco e nero dell’eccidio di S.Anna di Stazzema con la scritta “SVEGLIAAAA!!! CI STANNO AMMAZZANDO TUTTI!!” sarebbe stato sufficiente?

Allora com’è che le persone che sostengono le teorie del complotto non reagiscono di conseguenza ma si limitano a postare foto e articoli sul web?

La mia prima risposta istintiva è: «Perché quelle teorie sono solo stronzate».

Sono affezionato a quella risposta, e mi fermerei qui, anche perché che la seconda è molto peggio: «Come si chiama un uomo che, convinto che esista una tale minaccia di sterminio, non si batte per la propria vita e per quella dei propri figli?»

Avete una parola adatta?

Gipi Pacinotti

Disegnatore e regista, collabora con la Repubblica e Internazionale. Con il suo graphic novel Appunti per una storia di guerra ha vinto il premio Goscinny al festival del fumetto di Angoulême. Il suo primo film si chiama L'Ultimo terrestre.