Vedi Napoli e poi vota

Non dite che è normale. Nell’arco di un pugno di ore, a Napoli, alcuni hacker hanno oscurato la pagina Facebook del candidato Pdl Gianni Lettieri, poi un gruppo di studenti «antifascisti» e alcuni esponenti dell’associazione CasaPound si sono fracassati di botte con mazze e coltelli (sette feriti in tutto) dopodiché Lettieri è stato insultato da un nutrito stormo di sub-umani «dei centri sociali» – si dice così – i quali lo hanno anche fisicamente aggredito, allora lui è scappato, l’hanno inseguito, è arrivata la Digos, non è bastato, l’hanno spinto, gli hanno sputato, è stato costretto a rifugiarsi nella Basilica di San Lorenzo, hanno aggredito alcune supporter del Pdl, e mica è finita; nel pomeriggio altri giovinastri sono irrotti nel comitato elettorale pro-Lettieri e hanno sfasciato tutto, sedie e tavolini all’aria, già che c’erano hanno menato con pugni e schiaffi un ragazzo e una ragazza che facevano volantinaggio: non dite che è normale, non dite che in fondo siamo in campagna elettorale è che a Napoli si esaspera sempre tutto, perché Napoli sa concentrare l’italianità peggiore, è vero, ma è comunque lo specchio deformato di un Paese intero.

Ecco perché la litania della «solidarietà» espressa regolarmente da tizio e da caio (è una parola, basta dirla) non ci basta più, al pari di espressioni ormai imparate a memoria («clima di odio», «condanna», «abbassare i toni») che ormai potrebbe pronunciarle anche un risponditore automatico. Certo, il fatto che l’unico a non aver solidarizzato con Lettieri sia stato Luigi De Magistris (così almeno riferiscono) qualcosa vorrà anche dire, forse i voti schifosi di questi cosiddetti «studenti» dei cosiddetti «centri sociali» non fanno proprio schifo a tutti: ma sono le risposte serie a mancarci. Quello che devono spiegarci è perché in Italia sta succedendo questo, perché si parla di ritorno agli anni Settanta, se c’entra la crisi economica, se c’entra il parolame insultante che i politici nonostante tutto continuano a scambiarsi in tv (vedi Nicola Vendola e Paolo Romani ieri sera a Lineanotte, vedi lo spazio concesso da Annozero a un Beppe Grillo che paragonava il Parlamento ai «volenterosi carnefici di Hitler») o insomma, potrebbero fare qualcosa di più serio del solito tentativo di strumentalizzare ogni episodio e di dire che è colpa dell’avversario.

I vari dichiaranti, perciò, dicano qualcosa di articolato oppure tacciano, che è meglio. Nichi Vendola potrebbe dire qualcosa di meno scontato di frasi genere «la violenza è nemica della democrazia e della buona politica». Fabrizio Cicchitto, se proprio vuole sostenere ancora una volta che «è il frutto della campagna d’odio che la sinistra sta facendo», forse potrebbe argomentare meglio e spiegare perché botte e petardi ogni tanto li prendono anche a sinistra. Tutti gli altri (inutile nominarli, è una qualsiasi sfilata di politici) potrebbero sforzarsi di andare oltre al solito linguaggio fatto di «gravissimo», «senza se e senza ma», «non ci faremo intimidire», «intollerabile», «inqualificabile» e altro linguaggio pavloviano. Se il terreno di coltura della nuova violenza politica (o anti-politica) è in una zona grigia, sfumata, talvolta sovrapponibile alla politica ufficiale e più presentabile, allora significa che la classe politica ha una qualche corresponsabilità, c’è poco da fare. Se invece le violenze appartengono a corpi separati, dimensioni isolate, individui per niente «sociali» bensì «extra-sociali», beh, allora basta andarli a prendere. E metterli dentro, se necessario.

Filippo Facci

Giornalista e scrittore, lavora a Libero, ha collaborato con il Foglio, il Riformista e Grazia. È autore di Di Pietro, La storia vera