Come funzionano i canali su Telegram

Da poche settimane ho aperto un canale su Telegram. In realtà, è un canale che viene seguito praticamente solo da qualche amico (29 per la precisione: una cosa abbastanza a gestione familiare) ma volevo sperimentare e vedere come funziona questa che è indicata come la nuova frontiera della comunicazione in rete.

telegram

Telegram

Sì perché, dopo che è tornata di moda la newsletter, che è come la riscoperta dell’hamburger di un paio di anni fa, in realtà quello che sembra essere sempre più “caldo” nel mondo della rete sono i “canali”, siano essi su Slack che su Telegram e Whatsapp.

I due gruppi di software non potrebbero essere più differenti: Slack è un software per la collaborazione in azienda. In realtà è un software gratuito che si basa sulla tecnologia IRC, una delle più antiche della rete, e che è stato fortemente customizzato dai suoi creatori per renderlo un mezzo di comunicazione di gruppi di persone che lavorano a una serie di progetti collegati. Mantiene la struttura logica di un sistema di chat basato su IRC, cioè “stanze” nelle quali possono entrare i singoli iscritti a un determinato gruppo. C’è poi la possibilità di creare chat dirette tra due persone, ma se ne viene aggiunta una terza, la chat diventa una stanza e può essere vista (e possono entrare) anche altre persone.

Slack sta andando molto di moda e lo aiuta il fatto che ha un modello di business (è gratuito per tutta una serie di usi ma poi per strutturare meglio l’ambiente in cui entrano gli utenti di un determinato progetto bisogna pagare: si chiama modello Freemium) e quindi fa anche un po’ di soldini per mantenersi, oltre a quelli che gli vengono dati dagli investitori. Inoltre, gli sviluppatori di Slack hanno creato client che funzionano praticamente su tutti i dispositivi, oltre che via web: Mac, Pc, Android, iOS. Avere una app su ogni tipo di dispositivo, per l’utilizzo di questi sistemi di forum/chat in tempo reale, aiuta molto.

Invece Telegram non fa soldi (è mantenuto in piedi sostanzialmente dai suoi creatori, i russi Pavel e Nikolai Durov, che vivono a Berlino) mentre Whatsapp è diventato parte di Facebook. Insieme però hanno un patrimonio di utenti clamoroso: non c’è telefonino su cui non sia installato Whatsapp e Telegram viene poco dietro. Anche qui, le app per tutti i sistemi operativi sono disponibili e permettono di fare quello che questi sistemi considerano l’attività principale: messaggistica in tempo reale. Poi, sono nati i gruppi, che sono sostanzialmente delle chat in tempo reale con più di un utente. Ma sono malamente strutturate.

Da poco tempo, quindi, Telegram (che tra questi citati finora è il servizio che mi piace di più) ha creato dei “canali”, che sono in sostanza degli ambienti a cui ci si può iscrivere (c’è un link web, quello al mio canale ad esempio è https://telegram.me/mostlyiwrite) e partecipare a trasmissioni broadcast asimmetriche. Cioè l’amministratore del canale posta i messaggi, tutti gli altri possono solo leggerli o al limite rinviarli ad altri canali e contatti.

Tutti parlano di bot e di maggiordomi digitali, forme abbastanza rudimentali di intelligenza artificiale che stanno sbarcando in massa sui sistemi di messaggistica come Telegram e Whatsapp. Ma la novità interessante è questa nuova forma di espressività che, sulla falsariga di una newsletter, permette di comunicare informazioni direttamente agli iscritti, cioè a un manipolo più o meno grande di abbonati.

Ho cercato qualche canale pubblico interessante da seguire (secondo la mia definizione di cosa sia interessante). Il primo che ho trovato, fra quelli in italiano, è stato fatto da Gianluca Neri alias Macchianera, e si chiama “Quarantadue” (https://telegram.me/quarantadueit). È un canale di informazione, anzi di “Risposte all’Internet, la Vita, l’Universo e Tutto Quanto”. Siccome Gianluca è bravo (disclaimer: lo conosco da una decina di anni e sono stato in passato più volte ospite della sua web radio) le tre notizie che pubblica ogni giorno sia sul suo sito che sul canale di Telegram, sono interessanti e anticipano la stampa italiana di una settimana in media.

Altro canale, di stile più “privato” (se si può dire così di un sistema di pubblicazione di informazioni) è quello di Domitilla Ferrari intitolato “appunti, spunti, link vari” e parla di “cose che magari ti interessano, vai a sapere” (https://telegram.me/domitillaferrari). Ha una cadenza più rarefatta rispetto a Quarantadue e offre semplicemente un bloc notes delle cose che interessano Domitilla (disclaimer: anche lei conosciuta da parecchio tempo).

Nel tempo non solo i singoli come Gianluca e Domitilla hanno pensato di aprire un canale. Ad esempio Digital Common Sense ha creato un canale interessante e, sebbene a passo lento, molto ricco (https://telegram.me/digitalcs). Il tema della discussione dei canali di Telegram è spesso autoreferenziale, ma era così anche nei primi blog quindici anni fa, e affronta temi sociologico-tecnologici. Perlomeno, questa è la bolla di cose che vedo io perché magari sono quelle che mi interessano: non gioco a calcetto e non seguo squadre di calcio o trasmissioni di cucina, quindi probabilmente mi perdo intere fette di universo (e meno male).

A me capita piuttosto di leggere quel che scrive sul suo canale Telegram il mondo dell’informazione tecnologica più interessante: Wired Italia (https://telegram.me/wireditalia) e Macitynet.it (https://telegram.me/macitynet) (disclaimer: collaboro con entrambe le testate). E poi se ne potrebbero elencare molti altri, alcuni artigianali e particolarmente intriganti, ma ho sempre odiato le liste e preferisco fermarmi qui. Avete capito lo stesso, spero, il senso.

Del senso dei canali di Telegram parla con la consueta bravura Giovanni Boccia Artieri, che è uno dei giovani sociologi dei media più interessanti: Telegram come evoluzione del salotto buono della borghesia digitale di Twitter, popolato da cerchi magici di influencer che si inseguono come scintille in uno sciame di lucette del marketing (queste ultime tre immagini sono mie). Però i canali Telegram anche come strumento che “unisce l’immediatezza della news al senso di intimità di fruizione”, mezzo capace di “sincronizzare in modo più potente il tempo mediale con quello di vita”, in definitiva per creare “un contesto “diverso” per trattare informazioni che già circolano su canali con vocazione più mainstream”. La rifunzionalizzazione della conversazione asimmetrica dei blog in chiave mobile, mi verrebbe da aggiungere.

Il canale Digital Common Sense che citavo sopra è in realtà di Giovanni Boccia Artieri, studioso ma anche attivista e sperimentatore nella migliore tradizione canadese degli studi mediali.

Sia quel che sia, ho voluto provare ad aprire il mio canale e vedere un po’. Sono quelle cose che, come i blog, magari sulle ali dell’entusiasmo vai avanti un paio di settimane e poi perdi il passo, la vita prevale, non aggiorni più, tra sensi di colpa crescenti e paralisi sempre più profonda lasci andare. Non lo so, per adesso non sono ancora a quella fase. Quel che ho capito sin da subito è che il canale di Telegram è un’occasione imperdibile per condividere la playlist di una parte dei contenuti mediali della mia vita online. Tradotto in italiano: finalmente posso dare un senso (ulteriore) alle cose che leggo in rete e, perché no, anche a una parte di quelle che scrivo per vivere. Ad esempio, questo articolo.

Se questo è, almeno per me, il senso, allora il primo passo logico dopo aver “fondato” il canale (il nome “Mostly I write” si accompagna alla descrizione: “Storie e pensieri suoi e di altri, raccolti da Antonio Dini”) è quello di automatizzare la produzione. Quarantadue e Macitynet, per esempio, persueguono la loro vocazione di selezionatori/produttori di contenuti e sostanzialmente utilizzano Telegram come feed rss alternativo per quello che viene pubblicato sul sito. È un po’ come seguire la stragia che vuole differenziare i canali di distribuzione ma non il prodotto. Wired e Domitilla Ferrari invece lavorano di più su una selezione del prodotto rispetto a quello che compare da un lato sul primo portale di informazione tecnologica italiana e dall’altro sugli strumenti social di una delle principali “socialite” nostrane. Media diversi, contenuti e stili comunicativi diversi. Altre gradazioni intermedie sono possibili.

Al di là delle riflessioni sul senso del tempo e del messaggio di GBA, che sono una disamina del senso dei canali di Telegram molto interessante, la meccanica vista dal versante della produzione (che poi è il lato che mi interessa di più, altrimenti non avrei aperto il mio canale) è quella di una catena a maglie strette o lasche. Puoi decidere di automatizzare tutto o semplicemente mettere in linea su un canale dopo l’altro quel che scrivi (canale Telegram, Instagram, Twitter, Facebook, blog, per esempio) o quel che leggi e che pensi sia interessante condividere. Non mi dispiace, se non altro dà più senso a quelle liste infinite di segnalibri che mi salvo dalla rete con decine di articoli che più o meno leggo (la parola chiave è “più o meno”). Scrivi un cappello breve, infili il link (o un paio di link), rileggi per evitare i refusi, copi nella riga della chat di Telegram e via, pubblichi e tutto è finito. Meglio anche di Twitter.

Nella mia ipotetica catena dei contenitori attraverso il quale far passare i contenuti come fossero vasi comunicanti, manca all’appello qualcuno dei grandi strumenti di accumulazione offline: Pocket o Instapaper. Sia Facebook che più di recente Google stanno lavorando per mettere fuori gioco questi contenitori di aggregazioni soggettive, sostituendoli con i propri strumenti. Non lo so: nonostante il desiderio di egemonia dei granadi – soprattutto Facebook, che cerca di mettere tutta Internet dentro il suo recinto blu – a me pare che queste nicchie su misura di informazione ritmata su delle micro figure pubbliche, nodi densi di una trama molto leggera, abbia per adesso un suo piacevole senso. Voi cosa ne pensate?

Antonio Dini

Giornalista e saggista, è nato a Firenze e ora vive a Milano. Scrive di tecnologia e ama volare, se deve anche in economica. Ha un blog dal 2002: Il Posto di Antonio