La Ferrari non vuole andarsene dall’Italia

Aggiornamento: Con un comunicato stampa pubblicato sul suo sito internet intorno alle 18.30 dell’undici dicembre, Fiat Chrysler Automobiles ha smentito le voci sull’intenzione di trasferire all’estero la residenza fiscale di Ferrari. Ecco il testo:

FCA smentita trasferimento Ferrari

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Oggi Bloomberg ha pubblicato una notizia che era nell’aria da un po’: anche Ferrari starebbe valutando di spostare la sua sede fiscale al di fuori dell’Italia, come hanno già fatto CNH Industrial – la divisione veicoli industriali di FCA – nel 2011 e Fiat Chrysler Automobiles di recente.
La sede Ferrari, a Maranello
Lo schema potrebbe essere quello già usato per le altre due società del gruppo, ossia sede legale in Olanda e domicilio fiscale nel Regno Unito, dove la Corporation Tax è al 21 per cento e scenderà al 20 per cento nel 2015. Un bel risparmio rispetto al 31,4 per cento dell’imposizione italiana.
La decisione definitiva è ancora lontana e l’opzione di lasciare la sede in Italia resta sul tavolo, in ogni caso la produzione non subirà spostamenti e lo stabilimento di Maranello continuerà a realizzare le sue 7.000 auto l’anno.

Di là dai gretti “conti della serva” e dal risparmio che Ferrari avrebbe nel pagare le tasse in UK, c’è un altro fattore che rende questa ipotesi verosimile: il diritto commerciale olandese è molto più versatile di quello nostrano e permetterebbe di sfruttare al meglio il meccanismo del voto multiplo, che assegnerebbe maggiori diritti di voto ai soci storici come Exor – la holding di controllo della famiglia Agnelli – e Piero Ferrari, il figlio del fondatore Enzo.

Ne avevo già parlato alcune settimane fa, quando avevo spiegato come e perché la Ferrari sarà scorporata da FCA. In sintesi, il voto multiplo permetterebbe al 34 per cento delle azioni Exor e Piero Ferrari di avere il 51 per cento dei diritti di voto in assemblea, questo garantirebbe autonomia decisionale ai due soggetti che hanno gestito Ferrari fino a oggi ed eliminerebbe il rischio di scalate o prese di potere da parte di qualche investitore esterno.
I motivi per spostare la sede – da un punto di vista puramente razionale – sarebbero tanti; a quelli già citati si aggiungono il fatto che l’Olanda ha una normativa in materia di marchi e brevetti più avanzata della nostra e che il Regno Unito offre trattati contro le doppie imposizioni e nessuna ritenuta alla fonte sui dividendi distribuiti. Insomma, il risparmio per Ferrari e i suoi soci ci sarebbe. E tornerebbe utile anche perché lo scorporo del Cavallino nel 2015 comporterà che tutti gli investimenti per ricerca e sviluppo e per la Formula 1 dovranno essere sostenuti autonomamente dall’azienda.

Il Presidente del Consiglio Matteo Renzi, durante la sua visita dello scorso settembre alla Chrysler, ha detto che è interessato al Made in Italy – cioè ai posti di lavoro della produzione italiana – e non alla sede legale di un’azienda. I posti di lavoro sono fondamentali, vero, ma la Ferrari è ben più di una semplice azienda. Oltre al valore simbolico e ai 3.000 dipendenti, ci sono i conti, che parlano di ricavi per circa 2,5 miliardi di euro l’anno e utile netto oltre il 10 per cento, numeri più vicini a quelli del lusso che dell’automotive. Adottando un modo di ragionare molto approssimativo, ma d’effetto, sarebbe come dire che ogni auto venduta fa guadagnare alla Ferrari qualcosa come 30.000 euro netti. E ho già escluso il merchandising.

La Ferrari non è un’azienda in crisi, è il marchio più conosciuto al mondo, che ci fa grandi e unici. La Ferrari è la Ferrari, la Ferrari è il meglio dell’Italia nel mondo. La Ferrari è un poster sul muro di tanti bambini, è la materializzazione di ciò che possiamo. E sta pensando di andarsene non per il costo del lavoro, ma perché le normative fiscali e societarie non sono competitive. Alla Ferrari non serve la cassa integrazione, serve un Paese capace di accogliere e far prosperare le imprese. E questo vale anche per tutti noi.

Andrea Fiorello

Classe 1985, salentino di nascita e torinese d'adozione, laureato in giurisprudenza perché non si sa mai. Appassionato di motori ed economia, scrive di automobili dal 2009.