Prodi è l’unico che può trovare una soluzione all’Ilva

C’è solo una persona che oggi può prendere in mano il dossier Ilva, approfondirlo e poi predisporre una soluzione industriale seria ed economicamente sostenibile che tuteli l’occupazione dei suoi operai, la salute dei cittadini di Taranto, salvi la faccia allo Stato e induca ArcelorMittal a più miti consigli e ad assumersi le proprie responsabilità contrattuali: Romano Prodi.

Con ammirevole onestà intellettuale il presidente del Consiglio Conte, andando venerdì scorso a Taranto a incontrare lavoratori e cittadinanza, ha riconosciuto di non avere una soluzione in tasca. Né d’altronde potrebbe essere altrimenti. Sono troppe infatti le implicazioni che rendono estremamente difficile districare la matassa.

Ci sono naturalmente in primis le questioni occupazionali e ambientali. Ci sono poi quelle legali, procedurali, giudiziarie, risarcitorie, autorizzative da parte dell’Europa in termini di (non) aiuti di Stato. Poi ancora quelle congiunturali e innumerevoli altre di natura economica. Per non parlare infine delle questioni politiche, afferenti gli schieramenti sia di maggioranza che di opposizione, dove incompetenza, supponenza, improvvisazione imperversano in maniera così imbarazzante che la copertina di questa settimana dell’Espresso disegnata da Makkox non avrebbe potuto riassumere meglio il livello di degrado in cui è precipitata la dialettica partitica.

A fronte di questo puzzle così difficile da comporre c’è l’urgenza di agire che non ammette né tentennamenti né passi falsi perché le conseguenze potrebbero rivelarsi nefaste. Ci vogliono quindi conoscenze e competenze profonde, un’autorevolezza internazionale unanimamente riconosciuta per trattare su tutti i tavoli, un’esperienza lunga e consolidata nell’affrontare e risolvere crisi industriali.

Ebbene questo profilo oggi in Italia ce l’ha solo Romano Prodi. E non è un caso che prima che Conte dichiarasse giovedì 7 novembre da Bruno Vespa a Porta a Porta che sulla vicenda Ilva bisogna rimanere uniti e affrontarla in chiave di sistema Paese, già il giorno precedente Prodi aveva espresso un concetto analogo in un editoriale pubblicato sul Messaggero:

«Chi pensa che la soluzione possa trovarsi in una lite giudiziaria senza fine dimostra di non capire niente dello svolgimento reale di queste controversie internazionali e niente delle conseguenze fatali che ne discendono sulla vita degli impianti industriali. Altrettanto fuori da ogni ragionevole contesto è l’idea che si possa mantenere in vita lo stabilimento chiudendo la cosiddetta area a caldo. Ne rimarrebbe solo una finzione con danni irreparabili per il nostro sistema produttivo. l’Ilva, ridotta in briciole, continuerebbe a perdere denaro e si dovrebbe ugualmente procedere alla chiusura degli impianti di Cornigliano e di Novi Ligure. Non serve, peraltro, accusare l’ArcelorMittal, che già ha posto in cassa integrazione 1395 addetti, di abbandonare Taranto a causa della crisi che, con la sua inesorabile ciclicità, sta ora colpendo tutta la siderurgia mondiale. L’importanza di questo elemento è fuori di dubbio ma, proprio conoscendo le ferree regole delle imprese multinazionali, nessuno può pensare che un’azienda sopporti una perdita enormemente superiore a quella dei suoi altri impianti se non vi è la prospettiva che vi si ponga rimedio in un prevedibile periodo di tempo. La via del compromesso rimane quindi l’unica possibile, anche se ormai assai difficile da mettere in atto e, probabilmente, molto costosa».

Il Prodi politico leader dell’Ulivo e due volte presidente del Consiglio può essere criticato come e quanto si vuole, così come anche il Prodi presidente della Commissione europea. Ma come esperto di politica industriale e risanatore di imprese è stato il migliore che l’Italia abbia avuto. E anche i detrattori, scrisse qualche anno fa su Panorama Sergio Luciano, «gli riconoscono di aver portato nel mondo ammuffito delle partecipazioni statali un livello nuovo di decoro, di governance e di meritocrazia».

Prodi prese nel 1982 in mano l’Iri, la più grande holding pubblica italiana (circa 1000 società tra banche e industrie), con 3000 miliardi di vecchie lire di perdite e lo lasciò nel 1989 con 1263 miliardi (sempre di vecchie lire) di utile. Quando poi vi ritornò alla guida nel 1993, su richiesta “pressante” dell’allora presidente del Consiglio Ciampi per avviare un gigantesco piano di privatizzazioni vi rimase solo pochi mesi perché decise di dimettersi non appena divenne premier nel 1994 Silvio Berlusconi. Ma ciò non gli impedì in quel pur breve arco di tempo di combattere a viso aperto le logiche asfittiche di un certo capitalismo di relazione che aveva nella Mediobanca di Enrico Cuccia il suo “muro maestro” (famoso rimase un articolo pubblicato in prima pagina il 23 aprile 1994 sulla Stampa – il quotidiano che l’Avvocato Agnelli come noto leggeva per primo all’alba, per cui il messaggio sarebbe arrivato subito e diretto all’establishment – intitolato “Perché dico alt a Mediobanca”, in cui denunciava come sfruttando la mancanza di regole sull’azionariato popolare Mediobanca avesse potuto senza nessun ostacolo giocare un ruolo dominante nella campagna di acquisto di due grandi banche, Credito Italiano e Banca Commerciale).

Non ho idea di come Prodi potrebbe essere formalmente coinvolto nella vicenda Ilva. Conte ha parlato di voler dar vita a un gabinetto permanente di crisi e a Prodi potrebbe essere chiesto di presiederlo. Ripeto non so. Ma non credo che la forma sia il principale problema, ciò che conta è che sia un ruolo operativo che garantisca massima libertà di azione.
Ben più arduo invece sarebbe convincerlo ad accettare un simile incarico, anche perché a ottant’anni compiuti ha tutto il diritto di volersene stare in disparte. Forse solo una convinta moral suasion del Quirinale potrebbe indurlo a rimettersi in pista. Mi auguro che accada.
Quando Prodi lasciò la prima volta l’Iri nel 1989 il quotidiano inglese il Guardian gli rese gli onori dell’immenso lavoro di risanamento svolto definendolo l’uomo che ha restituito all’Italia il rispetto dell’Europa. Sarebbe bello che tra non molto tempo potesse leggersi da qualche parte che Prodi ha restituito a Taranto il rispetto dell’Ilva per il lavoro e la salute.

Francesco Maggio

Economista e giornalista, già ricercatore a Nomisma e a lungo collaboratore de Il Sole24Ore, da molti anni si occupa dei rapporti tra etica, economia e società civile. Tra i suoi libri: I soldi buoni, Nonprofit (con G.P. Barbetta), Economia inceppata, La bella economia, Bluff economy. Email: f.maggio.fm@gmail.com