Più un calcolo che un diritto

Il caso Odifreddi-Repubblica – di cui un tempo si sarebbe occupata una ristretta cerchia di addetti ai lavori – vale oggi come test di un paio di fenomeni a proposito della libertà d’espressione.

Il primo fenomeno attiene all’uso politico e relativo di un valore che si vorrebbe assoluto. Repubblica è il leader indiscusso delle campagne per la libertà di stampa e d’opinione. Il suo sito web è da anni, caso unico fra le grandi testate internazionali, luogo di mobilitazione permanente contro le censure e gli svariati attentati all’articolo 21 della Costituzione perpetrati prima da Berlusconi e ora dalla classe politica nel suo insieme. Intorno a questa pietra Repubblica ha edificato la propria identità e aggregato una comunità.

Non appena però la direzione del giornale ha osato prendere una decisione di tipo ordinario (la cancellazione di un articolo giudicato inaccettabile), è partito l’assalto a questo primato valoriale da parte del Fatto. Era già accaduto per lo scontro sulle prerogative del capo dello stato, con Travaglio pronto a scalzare Mauro dalla leadership del “partito dei giudici” (tentativo maldestro, visto come poi è andata fra Ingroia e i colleghi magistrati). Anche stavolta, nonostante le migliaia di commenti pro-Odifreddi ospitati dal Fatto, il tentativo risulterà marginale. Istruttivo, però, su quanto sia sfuggente, manipolabile e strumentalizzabile il concetto di libertà d’opinione: le posizioni si capovolgono facilmente.

La seconda lezione riguarda la rete e il concetto di libertà che vi alberga. Nel post, Odifreddi scriveva alcune banali e consunte scempiaggini sull’equiparazione fra stragi naziste e raid israeliani su Gaza, cinicamente pretendendo di applicare un calcolo matematico dal quale discendeva la maggiore gravità dell’operato di Tsahal rispetto alle SS. Non appena la notizia della cancellazione (e della rinuncia di Odifreddi al blog) s’è diffusa, Repubblica è stata crocefissa sul web come negatrice di un diritto fondamentale di parola. Un diritto che si pretende assoluto, sganciato dalle regole imposte dal rispetto, sottratto al diritto di vaglio di un direttore, di una testata, di un editore (tralasciamo gli immancabili riferimenti razziali, suggeriti dal medesimo Odifreddi).

C’è qualcosa di primitivo in questa idea di libertà irresponsabile e insindacabile. L’abbiamo già vista all’opera in difesa del negazionismo della Shoah: vogliamo ricominciare per un professore vocato alla provocazione?

Stefano Menichini

Giornalista e scrittore, romano classe 1960, ha diretto fino al 2014 il quotidiano Europa, poi fino al 2020 l’ufficio stampa della Camera dei deputati. Su Twitter è @smenichini.