Per favore, la verità agli elettori

Mentre scrivo non so ancora se i candidati abbiano esaudito, nel dibattito su Sky, il principale dei nostri desideri: quello di rappresentare, più che le divisioni fra loro, la forza e l’ampiezza della proposta del centrosinistra. Le primarie implicano competizione, stavolta nessuno le sta facendo per finta, ne è derivato un confronto aspro. Sappiamo che c’è chi – soprattutto nei campi di Bersani e di Renzi – pensa o teme che da dicembre i perdenti possano essere spianati, epurati, spinti a una scissione volontaria o forzosa: sarebbe una follia, garanzia di sicura sconfitta per tutti. Siccome sia Bersani che Renzi lo sanno, do per scontato che i rispettivi ultrà verranno chetati.

Un’altra cosa che non so è se Bersani – questo auspicio è diretto a lui – si sarà liberato dalla logica complottista che da mesi accompagna la narrazione del suo Pd e la compromette non poco. Il complotto sarebbe quello dei famosi poteri forti che, agendo su ogni tasto possibile a partire dalla demagogia anti-casta, e ultimamente in particolare sulle modifiche alla legge elettorale, vogliono sottrarre al Pd il diritto a governare.

Per Michele Prospero sull’Unità, Mario Monti è il leader di questa corrente, del complotto sarebbe il principale beneficiario e pertanto le elezioni consisteranno alla fine in un confronto fra lui e Bersani. Ora, a parte l’assurdità di pretendere che tutti si diano da fare per far governare i democratici, e dato per scontato che fuori dal Pd ci siano poteri politici ed extra-politici che vogliono scongiurare questa evenienza, stupisce che la tesi del complotto sia brandita dagli stessi che mangiano centralità della politica a pranzo e a cena.

Gli unici che possono conferire al Pd il diritto a governare, e vanificare qualsiasi complotto, sono gli elettori. Finché voteranno per il Pd (e per l’unica sigla finora sua alleata) per una quota fra il 30 e il 35 per cento, quel diritto/dovere a governare potrà esercitarsi solo con l’arte del compromesso, che implica accordi e cessioni. A occhio e croce gli interlocutori di questo scambio saranno gli stessi che oggi usano Monti e le sue politiche come bandiera. Da questa peraltro banale considerazione deriva che chiedere agli elettori di scegliere seccamente fra Bersani e Monti (come se quest’ultimo, e non Berlusconi o Grillo, fosse il capo del partito avversario) è un pericoloso inganno, una di quelle cattive pedagogie che negli anni hanno prodotto solo disillusioni, inducendo la sinistra a convincersi che le sue sconfitte nascevano sempre non dai propri limiti ed errori ma dal tradimento di qualcuno. Dove questo qualcuno era di solito il proprio gruppo dirigente.

Se Bersani non raddrizza questa falsa narrazione (peraltro linea di campagna elettorale di un suo competitore, Vendola) rischia prima o poi di diventarne vittima. Lui lo sa, tant’è vero che negli ultimi giorni ha corretto la propria comunicazione rivendicando al Pd il diritto ad essere «azionista di riferimento» della futura maggioranza, insomma il partito che decide chi governa. Che è una cosa un po’ diversa dall’arrembante conquista di palazzo Chigi di cui Prospero sull’Unità si fa vibrante alfiere. Quando, assai giustamente, il segretario del Pd nega che dalla palude dell’ingovernabilità post-elettorale possa nascere un Monti-bis, esclude di poter soggiacere a un ricatto mascherato di real politik. Mentre, in astratto ma mica tanto, lascia aperta la porta a un Monti-bis (si intenda la formula non alla lettera ma come metafora) liberamente scelto come migliore soluzione di compromesso fra partiti che hanno vinto le elezioni senza però ricevere un mandato sufficientemente assoluto: una eventualità schiettamente politica, che non ha nulla a che fare con i complotti, con la legge elettorale o con la demagogia anticasta eterodiretta, mentre ha molto a che fare con due dati della realtà: l’affanno col quale l’opposizione è uscita dal ventennio berlusconiano e la durezza dell’agenda europea con la quale dobbiamo ancora regolare le nostre scelte economiche e sociali.

Sembrano sottigliezze politiciste, invece fanno tutta la differenza del mondo. Anzi, sono talmente poco sottigliezze che tutto il dibattito di ieri sera e le intere primarie potrebbero essere ricordate come un evento importante ma parziale: il 25 voteremo su chi guiderà il centrosinistra alle elezioni, particolare importantissimo quanto alla definizione della fisionomia della coalizione; chi guiderà il governo invece si deciderà in parlamento, insieme ad altre forze, e il prescelto per palazzo Chigi potrebbe facilmente non essere alcuno dei nostri cinque supereroi. Sia Bersani che Renzi farebbero bene a avvertire fin d’ora i propri appassionati supporters e gli elettori: non ci perderebbero nulla, ci guadagnerebbero in serietà e credibilità.

PS. Magari, chissà, quando leggerete questo commento l’operazione verità si sarà già realizzata via satellite, ieri sera. Ma ne dubito.

Stefano Menichini

Giornalista e scrittore, romano classe 1960, ha diretto fino al 2014 il quotidiano Europa, poi fino al 2020 l’ufficio stampa della Camera dei deputati. Su Twitter è @smenichini.