Ora per il Pd tutto si complica

Il Pd riesce sempre a sorprendere. Ieri l’ha rifatto, grazie a due che pure non sono noti come giocherelloni: il segretario Epifani e l’ex segretario Franceschini.

Dalla direzione si attendevano due certezze, che sono arrivate.

La prima: il ribadimento, rafforzato, dell’appoggio del Pd al governo Letta, nonostante e oltre gli incidenti assai spiacevoli per i democratici delle ultime settimane.

La seconda: la data delle primarie, lungamente lasciata incerta mentre diversi dirigenti spingevano per un rinvio più o meno lungo. Invece tutto si consumerà prima di dicembre, probabilmente il 24 novembre. Ottima scelta di Epifani.

La sorpresa invece è venuta fin dalla relazione del segretario (che sul punto ha espresso una preferenza personale lasciando però aperte più opzioni) e poi dall’intervento di Franceschini (appoggiato da Bersani nelle dichiarazioni a latere): questa parte del gruppo dirigente uscente punta a “chiudere” le primarie per il segretario ai soli iscritti, rovesciando l’impostazione del confronto per la segreteria che nel 2009 impegnò gli stessi Franceschini e Bersani con Marino.

Gli argomenti di fondo sono noti, rimandano allo sdoppiamento di ruolo segretario/premier. Ma anche l’obiettivo immediato è evidente, fin troppo: sbarrare la strada alle aspirazioni di Renzi.

Il risultato della sortita non è stato brillante. Adducendo motivi di tempo, la relazione del segretario non è stata votata, ma era stata già sepolta di dubbi senza che Renzi neanche prendesse la parola. Anzi, sono stati i suoi eventuali possibili competitori i più accesi critici di questa che sarebbe una modifica statutaria.
Ora lo scontro sulla questione rischia di drammatizzarsi, complicato dall’altro tema congressuale: la separazione tra l’elezione del segretario e dei dirigenti locali.

Non è un modo saggio di procedere. L’inevitabile rinvio della decisione si riempie di possibili ulteriori conflitti, anche perché è accompagnato da un altro rinvio, che invece colpisce Letta: contrariamente a quanto sperava, il governo non è sicuro di avere prima della pausa di agosto il voto sulla riforma del finanziamento pubblico dei partiti (frenato dai partiti stessi) e di certo non avrà il primo voto sulla legge di riforma costituzionale (portata con successo dall’ostruzionismo del M5S a impantanarsi in un groviglio parlamentare).

Una giornata faticosa per il Pd. Che qualche complicazione poteva risparmiarsela.

Stefano Menichini

Giornalista e scrittore, romano classe 1960, ha diretto fino al 2014 il quotidiano Europa, poi fino al 2020 l’ufficio stampa della Camera dei deputati. Su Twitter è @smenichini.