Non ce la raccontiamo

Jonah Peretti di Buzzfeed (e prima dello Huffington Post, uomo di grande esperienza e successi nella comprensione dei meccanismi umani in rete) ha trovato – parlando di Facebook – un modo autoindulgente per giustificare il giornalismo dei “boxini morbosi”, ovvero quella parte sempre più invadente di contenuti sui siti di news che con i canoni tradizionali del giornalismo non vi troverebbero spazio (“animaletti carini”, dice a mo’ di esempio, ma metteteci gossip, strano-ma-vero, pruriginosità varie, papere sportive e video comici). Siccome ha una sua efficacia e autosufficienza lo incollo, e poi dico che ne penso.

Imagine you are a French intellectual at a Cafe. You are reading Sartre and Le Monde. You are thinking about big ideas and the issues of the day. And then you notice, as if often the case in Paris cafes, a cute dog sitting under the table next to you. You pause for a moment to pet and admire the dog. Clearly you do not suddenly become stupid while petting the dog. Having love and empathy for another living thing doesn’t make you dumber.
Then you notice a friend sit two tables over and you spend some time talking with her, discussing the cuteness of the dog, the front page of Le Monde, and the subtle distinction between “good faith” and “bad faith” in Sartre’s theory of inauthenticity. Talking about a wide range of topics with your friends is part of being human and it makes sense that people send lots of time on Facebook, and in cafes, socializing with their friends. We are complex creatures with contradictory needs and a love of animals or conversation doesn’t prevent us from reading investigative journalism, philosophy, or breaking news.
Facebook has figured out the humans like the French cafe. We don’t like the media we consume to be neatly separated and segregated. The Facebook News Feed mashes everything together: news about your friends, humor, cute animals, and substantive journalism. It is an exciting time to be a journalist and Facebook is part of the reason why.

La riflessione mi interessa, ed è all’apparenza convincente: ho scritto qui di altre riflessioni e analisi simili e malgrado non le condivida sono incuriosito dai tentativi competenti di analisi e comprensione delle cose. La ragione per cui trovo autoindulgente e pilatesca questa romantica costruzione di Peretti è però che noi non siamo intellettuali francesi, nella cospicua maggioranza. E mi azzardo a pensare che sia più difficile diventare intellettuali francesi che leggono Sartre e Le Monde se si sta su Facebook. Perché per la quasi totalità di noi – è la natura umana – “i nostri amici, l’umorismo, e gli animaletti” sono più attraenti del “giornalismo di qualità”: e il lavoro dei giornalisti è sempre stato quindi di scavare una nicchia al giornalismo di qualità e alla loro scelta di gerarchia delle notizie nuotando controcorrente alla nostra attitudine a contenuti più facili e insignificanti (i lettori di giornali non sono mai stati maggioranze, come si sa). Ora Peretti, e molti altri, propongono che i giornalisti offrano entrambe le cose: ma è come dire a una tv pubblica di fare anche varietà mediocre e non solo buona informazione (ops), o come dire a una libreria di vendere anche dvd porno. Il business cresce, ma non per questo si vendono più libri. Se ne vendono uguale, o meno.

E quindi preferirei che Peretti e gli altri come lui avessero la sincerità – molti ce l’hanno – di dire che la questione è la stessa della libreria con i dvd porno: vendere i dvd porno permetterà di continuare a vendere libri, attività in perdita che altrimenti sarebbe destinata a chiudere (di fatto già lo si fa, nelle librerie, se guardate quali titoli reggono il mercato editoriale), e lo stesso vale per i giornali e l’informazione. Il modello “misto” è quindi interessante, ma non è una rivoluzione creativa: è un adattamento darwiniano, con specie che si estinguono.


Vedi anche:

Luca Sofri

Giornalista e direttore del Post. Ha scritto per Vanity Fair, Wired, La Gazzetta dello Sport, Internazionale. Ha condotto Otto e mezzo su La7 e Condor su Radio Due. Per Rizzoli ha pubblicato Playlist (2008), Un grande paese (2011) e Notizie che non lo erano (2016).