Milano e le primarie per finta

Io ho una pregiudiziale stima per l’avvocato Ambrosoli: ho letto suoi articoli e l’ho visto in televisione, e senza conoscerlo, mi piacciono delle cose che ha via via detto sulla politica e su Milano. Se si decidesse che sia lui il candidato del centrosinistra me ne informerei meglio, ma potrebbe essere una buona scelta.

“Me ne informerei meglio”, significa che ci sono delle cose che ancora non so di lui e dei suoi approcci alle cose. Per esempio, da qualche giorno ho imparato che non vuole fare le primarie, e che di fronte alle naturali richieste in questo senso ha contrapposto l’ipotesi di una cosa che sta diventando le “primarie civiche”, un animale già mitologico nel dibattito milanese, in cui “i cittadini partecipano con un contributo di idee ai programmi”. Una presa in giro per far credere agli elettori che li si sta ascoltando mentre il candidato tanto è stato già deciso escludendoli. E che però tutti stanno prendendo molto sul serio.

«la forma partecipativa indicata è quella di una prima giornata indetta da un Comitato civico entro la metà del mese di dicembre in tutta la regione e in rete, che consenta a cittadine e cittadini di valutare il progetto di cambiamento e di contribuire allo sviluppo della campagna elettorale»

Per carità, io non sono convinto delle “primarie sempre”, e penso che in teoria i partiti possano essere in grado di fare buone scelte verticistiche. Ma non mi sembrano i tempi adatti, i partiti non hanno oggi il necessario credito di fiducia, ed eventualmente bisogna avere il coraggio di rivendicarlo: non inventarsi il pavido trucco delle “primarie civiche” mentre in altre città e regioni i candidati vengono scelti dagli elettori. E se Ambrosoli teme che le primarie lo identifichino troppo come “candidato del centrosinistra” o dei partiti, è un timore legittimo, ma allora direi che per sua dichiarazione non è il caso che faccia il candidato del centrosinistra: ce ne sono altri, e non è il modo migliore per cominciare a esserlo.


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Luca Sofri

Giornalista e direttore del Post. Ha scritto per Vanity Fair, Wired, La Gazzetta dello Sport, Internazionale. Ha condotto Otto e mezzo su La7 e Condor su Radio Due. Per Rizzoli ha pubblicato Playlist (2008), Un grande paese (2011) e Notizie che non lo erano (2016).