Meno libri

Continuo a riflettere sul tema del ruolo dei libri e della sua compatibilità con le leggi del mercato, stimolato ulteriormente dalle cose che ha scritto Marco Cassini, che ho trovato interessanti e benintenzionate, ma in alcuni punti non del tutto chiare o un po’ elusive. Mi pare che contengano due distinte questioni: la dichiarazione di intenti di Cassini, e la sua richiesta di maggiore aiuto pubblico. Non so se si possa trovare un modo di farle convivere che soddisfi il bene comune come lo immaginavo qualche giorno fa, ma intanto espongo un po’ in disordine delle  cose che vorrei chiedergli.

Uno. Non ho capito. Vuoi pubblicare meno libri e sacrificare quelli meno belli, o pubblicare meno libri e sacrificare quelli che si vendono grazie a trucchi e facilitazioni pubblicitarie? Non è la stessa cosa

Due. Come tu stesso noti, mercato e lettori sono due modi di diverso suono per definire le stesse persone. E però lasci oscura la ragione per cui invece li pensi due cose diverse e ci costruisci un ragionamento sopra: questa ragione a me sembra sia una specie di pudore nel dichiarare che i lettori sono coloro che comprano libri che ti piacciono e il mercato coloro che comprano libri che non ti piacciono. Può anche andare bene, ma allora rendiamo palese l’intenzione pedagogica del lavoro degli editori e diciamo semplicemente che non devono più pubblicare libri che giudicano mediocri.

Tre. Però se gli editori fanno questo lavoro di selezione qualitativa – il loro lavoro originale – stiamo andando in senso inverso rispetto alla parola per tutti, la libertà di espressione totale, la disintermediazione. Anche questo dovremmo dirlo: l’editore vuole scegliere per il bene dei suoi lettori (e per il suo) e conservare un ruolo di mediazione culturale a cui si sente intitolato.

Quattro. In Italia non ci sono solo i perniciosi conflitti di interessi di Silvio Berlusconi. La più nota e longeva catena di librerie appartiene a un gruppo che è anche editore, grossista, libraio online, e a cui è riconosciuta una grande qualità dei libri che pubblica: e probabilmente senza quella catena il business e la diffusione dei libri in Italia perderebbero qualcosa. È giusto averli come complici, o sono irrimediabilmente schiavi del “mercato”?

Cinque. Ma la “decrescita editoriale” la si abbraccia per il bene del mondo e il proprio, perché pensiamo che sia giusta, per i libri che ci piacciono, o anche perché si pensa che alla lunga ne faccia vendere di più? Nel primo caso, andrebbe sottolineato che si propone un sacrificio economico: meno guadagni, meno soldi, meno posti di lavoro, meno autori, eccetera. Nel secondo la domanda è: se fare meno libri promette di farli meglio e venderli di più, come mai il “mercato” non se ne accorge e non promuove questa scelta? Perché si muove in altre direzioni?

Sei. E dei lettori che leggono solo i libri brutti che facciamo? Non gli diamo più niente?


Vedi anche:

Luca Sofri

Giornalista e direttore del Post. Ha scritto per Vanity Fair, Wired, La Gazzetta dello Sport, Internazionale. Ha condotto Otto e mezzo su La7 e Condor su Radio Due. Per Rizzoli ha pubblicato Playlist (2008), Un grande paese (2011) e Notizie che non lo erano (2016).