L’unità d’Italia

Durante il discorso di Barack Obama sullo Stato dell’Unione, seguendo l’invito di un senatore democratico del Colorado (che a sua volta aveva ripreso l’appello di un’associazione), i parlamentari americani hanno sovvertito l’uso di dividersi in due spazi distinti per appartenenza di partito e si sono mescolati tra loro. L’idea era partita come sforzo di civiltà e serenità di rapporti umani dopo l’attentato contro Gabrielle Giffords. “Non cambiamo le cose se non cominciamo a lavorare a una collaborazione tra di noi”, ha detto il vicepresidente Biden.

L’idea è bella e invitante. Sono sempre diffidente delle iniziative a “valore simbolico”, soprattutto in tempi in cui i valori simbolici sostituiscono quasi sempre le pratiche concrete e ne diventano surrogati. Mi sono chiesto quindi non tanto se si potrebbe importare in Italia così (immaginatevi le polemiche e i capricci che sputtanerebbero subito tutto), ma quanto regola stabile. La fine della distribuzione dei posti nelle camere in base all’appartenenza di partito: di fatto, la fine concreta della Destra e della Sinistra, dopo che per anni si è parlato della loro fine ideologica. E l’annullamento di una delle mille sanzioni di divisione in Italia.

Somiglia un po’ a quando la maestra dice “vi divido!” ai compagni di banco molesti o litigiosi, è vero (di fatto, è l’opposto). Ma non è che la maestra non abbia le sue buone ragioni. E di fatto, l’iniziativa avrebbe risultati certi: le imbarazzanti scene di molte recenti gazzarre parlamentari diminuirebbero inevitabilmente, e anche il clima da ultras in curva. Ho consultato un mio amico esperto sulla gravità delle controindicazioni – il lavoro collaborativo all’interno dei gruppi sarebbe assai più complicato – e lui mi ha confermato che sono abbastanza rilevanti.

I posti vengono assegnati ai gruppi parlamentari, organi che nell’organizzazione dei lavori parlamentari hanno un gran peso, da moltissimi punti di vista, anche economici, ma anche obiettivamente di organizzazione (i tempi di discussione vengono assegnati ai gruppi, che distribuiscono poi ai singoli, le iscrizioni a parlare sono gestite dai Gruppi,  le assegnazioni dei parlamentari alle commissioni anche, ecc, ecc). La distribuzione casuale effettivamente produrrebbe alcuni problemi, le consultazioni all’interno dei gruppi sono necessarie, soprattutto in occasione dei dibattiti su disegni di legge complessi, su decreti omnibus, ecc, sui quali nessuno ha una competenza esclusiva, ma sono molti gli “esperti” all’interno dei gruppi. Insomma, in un parlamento “dei partiti”, la necessità di una direzione o di un forte coordinamento è inevitabile e anche necessaria

Insomma, pare sia più complicato del previsto, ma continuiamo a pensare gesti rivoluzionari.


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Luca Sofri

Giornalista e direttore del Post. Ha scritto per Vanity Fair, Wired, La Gazzetta dello Sport, Internazionale. Ha condotto Otto e mezzo su La7 e Condor su Radio Due. Per Rizzoli ha pubblicato Playlist (2008), Un grande paese (2011) e Notizie che non lo erano (2016).