La lezione del sacrificio di Fassina

Può darsi che un viceministro, per il suo stesso bene, debba acconciarsi a propalare doppie e triple verità. Fatto sta che ieri Stefano Fassina ha invece detto, a proposito dell’evasione fiscale, alcune note ovvietà. E possiamo ben scriverlo noi, che a suo tempo salutammo addirittura come una svolta epocale i blitz della Finanza a Cortina, nel triangolo della moda a Milano, in via del Corso a Roma. E che difendemmo Equitalia e chi ci lavora sia dagli ignobili attacchi terroristici che dalle altrettanto ignobili strumentalizzazioni politiche di Grillo o del Pdl.

Se vogliamo evitare guai, come quelli ai quali va incontro Fassina, possiamo anche tapparci gli occhi, girarci dall’altra parte, consolarci con le giaculatorie contro l’evasione. Altrimenti sarà bene guardare in faccia la realtà dell’oppressione fiscale in Italia, sommata all’oppressione burocratica e sommata all’infimo livello dei servizi pubblici: questo è il paese che conoscono gli italiani, questa è la tenaglia dalla quale ogni mese cercano di sgusciare via milioni di onestissimi lavoratori e piccoli imprenditori che non hanno alcun panfilo ormeggiato e non girano sui Suv.

Lo diceva già Berlusconi?
È vero, lo diceva già Berlusconi, come ieri ha malignamente sottolineato Brunetta, uno che se può dequalificare il dibattito pubblico non si tira mai indietro.
Ma se anche l’avesse detto Gengis Khan, la cosa non sarebbe stata meno vera. Anzi, l’incapacità di vedere il nucleo di verità presente perfino nella propaganda berlusconiana è stata una delle ragioni delle sconfitte e della subalternità della sinistra in questi vent’anni. L’importante, l’essenziale, è non far discendere da questa constatazione condoni fiscali. E questo il centrosinistra non l’ha mai fatto.
Anche adesso, nulla autorizza a ricavare un via libera all’evasione fiscale dalle parole di ieri. Il problema casomai è che se un viceministro prende un rischio così alto (fino al dramma, per Fassina, di farsi scomunicare dalla Cgil), poi il governo al quale appartiene dovrebbe dannarsi per trarne le conseguenze e darsi un concreto, realistico e ravvicinato obiettivo di riduzione del carico fiscale arrivato alla soglia del 54 per cento: mostruosa per i lavoratori a reddito fisso, omicida per chi in un tempo di crisi svolge attività lavorative a reddito variabile.

Un’ultima cosa. È chiaro che da ieri Fassina è fuori gara per la segreteria del Pd, se mai ci avesse puntato: per la sua collocazione, perdere l’appoggio della Cgil è un handicap irrecuperabile. Nel sacrificarsi ha dato però l’esempio di come il Pd dovrebbe essere: un partito sincero fino alla brutalità quando affronta i mali dell’Italia reale e non di un’Italia di comodo.

Stefano Menichini

Giornalista e scrittore, romano classe 1960, ha diretto fino al 2014 il quotidiano Europa, poi fino al 2020 l’ufficio stampa della Camera dei deputati. Su Twitter è @smenichini.