La destra che è uguale alla sinistra

Ho conosciuto Flavia Perina un mese fa a Roma. Al netto di tutte le battute e i luoghi comuni sulla “svolta a sinistra finiana”, mi piace molto da tempo l’equilibrio anomalo delle cose che scrive sul Secolo d’Italia di cui è direttore. Mi trovo quasi sempre d’accordo con lei, non solo sul piano delle posizioni politiche ma soprattutto su quello di analisi e valutazioni più estese e generali. E dopo aver parlato un po’ con lei in un bar romano, le ho chiesto, a partire da questo suo articolo, «ma scusa, sono mesi che ti sentiamo dire cose assolutamente condivisibili e auspicabili, e ci diciamo ogni volta “guarda come siamo d’accordo” e ce ne meravigliamo, e anzi ormai non ce ne meravigliamo più: quindi a questo punto la cosa che comincio a chiedermi, piuttosto, è «cosa ci divide?»”.

Flavia Perina mi ha allora spiegato che il livello del dibattito politico in Italia è così arretrato che ci sono alcuni presupposti fondamentali – dimenticati – da ricostruire, e su quelli evidentemente siamo d’accordo. “Prima ristabiliamo le regole e i principi condivisibili, e dopo parliamo di cosa ci divide”. Io ero di nuovo d’accordo.
Ma di nuovo le ho detto: “ok, ma cosa ci divide?”.

Flavia Perina allora mi ha risposto, sicura: “una cosa di sicuro: il garantismo; sul garantismo io mi sento distantissima dalle cose che sento e leggo a sinistra”. E io le ho detto: anch’io, infatti quelli a cui ti riferisci sono di destra, loro. E insomma, non ne siamo venuti a capo.
E oggi sul Secolo Flavia Perina scrive queste cose: che Saviano è un eroe civile, che vogliamo la verità su Stefano Cucchi, che la legge sulla prescrizione breve sarebbe uno scandalo. Dice di condividere il “conservatorismo etico” evocato da Giorgia Meloni contro i finiani: ed è vero che il “conservatorismo etico” è una cosa abbastanza vaga e personalizzabile, ma se vuol dire che una solida e condivisa ambizione etica resta prioritaria, anche questa mi pare una posizione di sinistra.

Il fatto è che il vero dna della destra, più che sul crinale della retorica dei valori e delle cosidette questioni di coscienza, dove il nostro mondo – fin dall’epoca del divorzio – ha sempre giudicato normale esprimersi liberamente, ruota intorno alle discriminanti ben più scomode (almeno nell’era berlusconiana) del senso dello Stato e della legalità, della protezione dei deboli e della valorizzazione del merito oltre i diritti di casta.

E io ancora aspetto di capire cosa ci divida.

p.s. nessuno si scandalizzi del titolo, è l’autocitazione di un vecchio articolo su cui allora si discusse assai


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Luca Sofri

Giornalista e direttore del Post. Ha scritto per Vanity Fair, Wired, La Gazzetta dello Sport, Internazionale. Ha condotto Otto e mezzo su La7 e Condor su Radio Due. Per Rizzoli ha pubblicato Playlist (2008), Un grande paese (2011) e Notizie che non lo erano (2016).