I numeri della disoccupazione giovanile

Non è vero che 4 giovani su 10 sono disoccupati, è difficile sostenere che siano i tagli alla spesa pubblica ad averci condotto a «questa situazione» e si può discutere (di nuovo) sul fatto che la ricchezza in Italia sia distribuita male. Sono alcuni degli errori e delle imprecisioni fatti ieri nel corso della puntata di Ballarò.

Pietro Raitano, direttore di Altreconomia, ha sostenuto che in Italia 4 giovani su 10 sono senza lavoro. Non è vero: si tratta di un errore comune, compiuto dalla gran parte dei giornalisti e che l’ISTAT cerca invano di correggere ogni volta che diffonde i dati sulla disoccupazione giovanile. L’ultimo dato diffuso mostrava che la disoccupazione giovanile ha raggiunto il 38,4% – il 40% e quindi, apparentemente 4 giovani su 10. In numeri assoluti si tratta di 635 mila disoccupati, ma la popolazione totale in Italia di età 15-24 è composta da 6 milioni di individui. In realtà quindi, in Italia c’è un giovane disoccupato su 10 (un numero in ogni caso molto alto rispetto al resto d’Europa).

Quello che Raitano e la maggior parte dei giornalisti dimentica di ricordare è che la disoccupazione non si misura sul totale della popolazione presa in esame, in questo caso i giovani dai 15 ai 24 anni. Si misura su quella frazione dei giovani che è attivamente in cerca di lavoro e non lo trova. Dal conto, quindi, sono esclusi tutti i giovani che non stanno attivamente cercando lavoro, che nella fascia d’età 15-24 sono moltissimi. La scuola dell’obbligo si estende fino al 16° anno d’età, di fatto quindi tutti i quindicenni non possono attivamente cercare lavoro. Ma la gran parte dei giovani continua a frequentare il liceo fino ai 18 anni e un buona parte prosegue poi gli studi universitari fino ai 23-24 anni e non partecipa quindi alla ricerca attiva di lavoro.

Raitano ha anche sostenuto che in Italia c’è una forte diseguaglianza nella distribuzione del reddito, della ricchezza e c’è una scarsa mobilità sociale, cioè che è difficile, essendo nati in una famiglia con un reddito basso, vederlo aumentare nella propria carriera lavorativa. Per quanto riguarda la distribuzione della ricchezza Raitano esprime un’opinione legittima: bisogna però ricordare che secondo un’indagine della Banca d’Italia (che abbiamo citato diverse volte) la distribuzione della ricchezza in Italia è migliore che in moltissimi altri paesi (tra cui Stati Uniti, Germania, Canada e Svezia).

Secondo un divertente esperimento fatto dall’economista Sandro Brusco sul blog Noise from Amerika la distribuzione della ricchezza in Italia sarebbe simile a quella di un immaginario paradiso socialista – di nome Rawslandia inferiore – dove tutti guadagnano lo stesso stipendio, differenziato solo in base ad automatici scatti di anzianità.

Raitano ha ragione nel dire che in Italia la mobilità sociale è bassa mentre le diseguaglianze sono alte. Non esistono misurazioni univoche e accettate della mobilità sociale, ma spesso viene utilizzata la misurazione di quanto il reddito dei figli riflette quello dei genitori. In questo documento dell’OCSE (la tabella che ci interessa è a pagina 187) sono stati aggregati i dati di alcune ricerche di questo tipo fatte nel 2006 e nel 2007. L’Italia risulta, dopo il Regno Unito, il paese con la minore mobilità sociale, gli Stati Uniti hanno una mobilità appena superiore, mentre quasi tutti gli altri paesi europei hanno una mobilità decisamente superiore.

Raitano ha inoltre ragione quando sostiene che l’Italia sia un paese dove i redditi (non la ricchezza) sono distribuiti in maniera diseguale. Per misurare la disparità di reddito si utilizza di solito il Coefficiente Gini. In questa classifica – qui trovate quella di Eurostat – l’Italia risulta un paese più diseguale della media dell’Unione Europea, dell’area euro e della maggior parte degli altri grandi paesi.

Roberto Speranza, capogruppo alla Camera del PD, ha sostenuto che i docenti italiani sono tra i meno pagati d’europa. In parte è vero, come conferma questo documento dell’OCSE. I salari degli insegnanti, rapportati a quelli di altri lavoratori a tempo pieno con simili titoli di studio, sono più bassi in Italia rispetto a quasi tutti i paese OCSE (non abbiamo trovato statistiche Eurostat a questo proposito). Bisogna anche segnalare che nello stesso documento si vede come in Italia gli insegnanti lavorino in media un numero di ore inferiore agli insegnanti degli altri paesi. A questo proposito i sindacati e gli stessi insegnanti spesso replicano che il loro lavoro si estende per molte ore oltre l’orario scolastico “ufficiale”.

Sempre secondo Speranza: «Tagliare la spesa pubblica ci ha portati al disastro». Può essere vero che tagliare la spesa pubblica conduca al disastro economico, ma è falso sostenere che la situazione attuale del nostro paese sia stata causata dai tagli alla spesa pubblica visto che la spesa pubblica non è diminuita (questo naturalmente non significa che non ci sono stati tagli, anche sostanziosi, in determinati settori di spesa). La spesa pubblica è cresciuta del 5% in rapporto al PIL rispetto 2000, l’anno in cui ha ottenuto il record più basso negli ultimi 20 anni. In termini reali è costantemente aumentata in tutti gli ultimi 20 anni.

Davide De Luca

Giornalista. Ho scritto per l’Arena di Verona e per l’Agence Europe di Bruxelles. Ho collaborato ad alcuni libri d’inchiesta su CL e la finanza cattolica. Mi piacciono i numeri e l’economia e cerco di spiegarli in modo semplice. Su Twitter sono @DM_Deluca