Dall’apocalisse alla trattativa sul Jobs Act

Si possono compiere scelte giuste o sbagliate, per provare a vincere o solo per testimonianza (com’è capitato spesso a sinistra), ma l’autolesionismo è incomprensibile. E nelle mosse della sinistra politica e sindacale di queste ore ce n’è una quota elevata.

Ha cominciato Susanna Camusso paragonando Matteo Renzi a Margaret Thatcher. Senza rendersi conto non solo dell’esagerazione che rende l’accusa poco credibile (trascinando con sé tutti gli altri argomenti), ma soprattutto dell’omaggio immeritato fatto a un’ideologia neoliberista che in Italia non ha attecchito quando trionfava in tutto l’Occidente, e che sarebbe assurdo voler resuscitare ora, fuori tempo e fuori dalla storia: se per caso il Jobs Act fosse approvato dal parlamento – come è probabile – racconteremo agli italiani che si sta scatenando un’ondata thatcheriana? E la Cgil, per prima, che figura ci farebbe?

Ora poi esce, dalla minoranza Pd, la questione del soccorso azzurro, ovvero il rischio (che in alcune dichiarazioni si capovolge in speranza) che in parlamento Forza Italia voti il progetto di Renzi, magari diventando addirittura indispensabile alla sua approvazione nel caso che in senato la dissidenza Pd sia estesa al punto di far venire meno la maggioranza.
L’antipatia verso Renzi non può arrivare fino a un esito del genere. Che potrebbe anche non avere conseguenze estreme (crisi di governo, elezioni anticipate) ma certo sarebbe un clamoroso regalo: spostare a destra il quadro politico come risultato di una battaglia della sinistra. Un terribile déjà vu.

Già solo il fatto di aver presentato sette emendamenti al testo Poletti vale come riconoscimento che non siamo davanti a un’aggressione thatcheriana, che se fosse vera non sarebbe emendabile. Pare più che altro di essere alla replica dello scontro sul bicameralismo. Il che vuol dire: dall’annuncio dell’apocalisse, alla trattativa su pochi punti; dalla minaccia di dare Renzi in ostaggio a Berlusconi, al prendersi i meriti di aver corretto in meglio una riforma in fin dei conti positiva. Magari sfruttando la novità di nuove ampie risorse eventualmente trovate dal governo (se ne parla molto) per estendere in senso universalistico le coperture degli ammortizzatori sociali.
Vedremo se andrà a finire così. O se il tatticismo verrà travolto dalla volontà renziana di portare a casa (e in Europa), oltre al Jobs Act, anche l’evidenza della sconfitta dei suoi oppositori.

Stefano Menichini

Giornalista e scrittore, romano classe 1960, ha diretto fino al 2014 il quotidiano Europa, poi fino al 2020 l’ufficio stampa della Camera dei deputati. Su Twitter è @smenichini.