I heart melassata barocca

Ho un debole per certe baracconate pop enfatiche e barocche, che scendono dal progressive e arrivano a Maximilian Hecker e ai Daft Punk, passando dai Pet Shop Boys e dall’Electric Light Orchestra. E quindi quando ho visto che Jeff Lynne degli ELO, appunto, aveva fatto un disco nuovo sono andato a vedere cosa c’era dentro. Dentro ci sono delle cover, vecchi standard ma vecchi vecchi, e quando arriva il disco di standard di solito sei bollito definitivamente, salvo rare eccezioni creative. Non mi sento di dire che quella di Lynne sia una di queste eccezioni, anche perché temo il mio pregiudizio favorevole di cui ho detto: potrei non essere obiettivo. Lynne fa grandi classici come “Smile”, “At last” e “Love is a many splendored things” come fossero pezzi degli ELO, caricandoli di zumzum e sdlèn: potrete trovarlo raccapricciante o meraviglioso. Io sto nel mezzo e lo trovo divertente, a rischio stucchevolezza alla lunga. Però la prima canzone del disco – il disco si chiama “Long wave” – la fa senza esagerare troppo, e la canzone è la fine del mondo: era di Aznavour, fu tradotta in mezzo mondo (in Italia l’ha cantata qualche anno fa Laura Pausini) e conobbe una nuova popolarità con la versione di Elvis Costello dalla colonna sonora di Notting Hill. Si chiama “She”, per certi viaggi in autostrada andrà benissimo, poi ci risentiamo a gennaio e vediamo se non ne possiamo più.

 

 


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Luca Sofri

Giornalista e direttore del Post. Ha scritto per Vanity Fair, Wired, La Gazzetta dello Sport, Internazionale. Ha condotto Otto e mezzo su La7 e Condor su Radio Due. Per Rizzoli ha pubblicato Playlist (2008), Un grande paese (2011) e Notizie che non lo erano (2016).