Che cosa aspetti, Pd?

Il patto s’è rotto.

L’ha rotto Berlusconi. L’istinto di reagire alla vecchia maniera alla sentenza della Cassazione è stato molto più forte della recente e improvvisata vocazione da statista pacificatore. Il gesto grottesco, medievale, delle dimissioni di ministri e parlamentari consegnate nelle mani del condottiero segna già un punto di non ritorno.

Ieri sera la diciassettesima legislatura, nata sfortunata, s’è spezzata in due.

Con tutte le migliori e più condivisibili intenzioni, né Enrico Letta né Giorgio Napolitano possono arginare la crisi nervosa dei berlusconiani, e limitarne i danni. Anzi, per il capo dello stato ora il problema è non farsi neanche sfiorare dalla sequenza di gesti irrituali ed eversori annunciati o compiuti dal secondo partito della maggioranza.

Non sappiamo se questa tempesta porterà con sé automaticamente la crisi di governo e l’inevitabile ricorso alle elezioni anticipate, che sarebbero a questo punto anticipatissime.

Ci sono ancora delle incognite, a cominciare dalla capacità di dare seguito alle minacce formulate ieri davanti alla platea plaudente dei parlamentari Pdl. La frenata dopo l’accelerazione è un grande classico dell’epopea berlusconiana, e già ieri sera si sentiva qualche stridio di pneumatici.

In secondo luogo c’è la dura determinazione del capo dello stato a non consentire né nuovi governi né nuove elezioni in assenza delle riforme minime sulla cui promessa s’era imperniata la rielezione al Quirinale. «Piuttosto me ne vado io», ha fatto capire più volte Napolitano.

E sopra ogni altra cosa, a questo punto più alto ostacolo verso il voto anticipato, c’è ancora in vigore il Porcellum. Con l’attuale struttura tripolare della politica italiana, perché da un simile sistema elettorale possa scaturire una maggioranza è necessario che uno dei partiti faccia grande incetta di voti.

Tutto questo porta al Pd.

All’insostenibilità della tattica attendista seguita finora, incredibilmente ancora fino a ieri pomeriggio.

Alla fine dei bizantinismi sulle regole e sui tempi delle primarie.

All’urgenza assoluta di schierare in campo la più forte alternativa a questo esausto quadro politico e, in proiezione elettorale vicina o vicinissima, alla destra e a Beppe Grillo.

Insomma, tutto questo porta a Matteo Renzi.

Stefano Menichini

Giornalista e scrittore, romano classe 1960, ha diretto fino al 2014 il quotidiano Europa, poi fino al 2020 l’ufficio stampa della Camera dei deputati. Su Twitter è @smenichini.