Di forca e di governo

E brava la Lega di forca e di governo. È l’unico partito del mondo che riesce a dirsi favorevole a un arresto e al tempo stesso a lasciare libertà di coscienza ai propri parlamentari: il che si è tradotto, in pratica, nell’esclusiva libertà di non essere sfavorevoli alla manette, meglio se dopo un’indicazione dall’alto: chiaro, trasparente, anzi, «coerente».

L’indole segreta della Lega – una classe di giuristi – ha trovato finalmente sfogo a mezzo di un’attenta analisi degli articoli 273 e 274 del Codice, quelli che motivano le esigenze cautelari per Alfonso Papa e per chiunque altro: ciascun onorevole leghista – ne siamo certi – ha valutato attentamente che il rischio di inquinamento delle prove fosse «concreto e attuale», che il pericolo di fuga fosse effettivo, che i giudici, senz’altro, irrogheranno una pena superiore ai due anni, e soprattutto che ci sia la concreta possibilità che il soggetto indagato – magari proprio in questi giorni – commetta altri gravi delitti. Poi – che lo diciamo a fare – è chiaro che i parlamentari della Lega hanno verificato l’osservanza del comma 2 dell’articolo 275 (carcere solo come extrema ratio) e soprattutto del comma 3, secondo il quale gli arresti domiciliari non bastavano, eh no, non bastavano. Solo dopo tutto questo – peraltro a scrutinio segreto – la libera coscienza del parlamentare leghista medio ha quindi preso la sua decisione: mica come altri forcaioli che guardano solo ai sondaggi o agli ordini del capo. Oltretutto Papa è pure terrone.

Per il resto, i paralleli col 1992 sono una moda consunta. Qualche punto in comune lo trovi sempre: crisi economica allora come oggi, politica e magistratura antagonisti, attriti istituzionali anche seri (dissidi tra le Camere, la Consulta contestata, il Capo dello Stato che parla tanto e ottiene poco) e ancora: manovre finanziarie pesanti (allora Amato, oggi Tremonti) e soprattutto una sfiducia nella classe politica che però si accompagna a una sfiducia in qualsiasi «casta», magistratura compresa, giornalisti compresi. E questa, al pari di altre, non è una differenza da poco: oggi la Lega non minaccia secessioni, la mafia non fa saltare in aria magistrati, e non piazza bombe che squarciano monumenti, la guerra fredda non è appena finita, non ci sono apparati dello Stato in totale subbuglio, la magistratura contesta le leggi ma non le blocca. Il clima è pesante, ma allora era da pazzi.

Oggi la gente è incazzata, ma ancora di più è stanca. È disillusa. Nessuno – a parte Roberto Maroni, forse – pensa che arrestare politici sia una soluzione, e che ci sia – a parte quelli de Il Fatto – un regime da abbattere. Nel 1992 fu proprio la gente a travolgere l’equilibrio democristian-socialista (con il voto, in primis) e a consentire che Mani pulite facesse quel che ha fatto: perché è l’eterno «centro moderato», in Italia, che permette di fare le rivoluzioni. Oggi invece la sfiducia cresce, ma la gente ha molta più voglia di andare al mare che di scendere in strada a tirar monetine: anche perché, dopo il passaggio all’Euro, le monetine valgono. Chi minaccia o progetta di tirarle, alla fine, è la solita partita di giro, i soliti quattro coglioni che noi giornalisti aspettiamo al varco: per fargli fare un figurone, per scrivere che «è come il 1992». Ma nessuno sta abbattendo la politica. La politica, al limite, si sta abbattendo da sola.

Filippo Facci

Giornalista e scrittore, lavora a Libero, ha collaborato con il Foglio, il Riformista e Grazia. È autore di Di Pietro, La storia vera