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  • Mercoledì 31 dicembre 2025

Israele ha vietato a decine di ong di operare nella Striscia di Gaza

Sostiene che non abbiano dato sufficienti informazioni per dimostrare di non avere legami con Hamas 

(AP Photo/Jehad Alshrafi)
(AP Photo/Jehad Alshrafi)
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Il governo israeliano ha comunicato a decine di organizzazioni non governative (ong) che si occupano di assistenza umanitaria che da domani, 1° gennaio del 2026, non potranno più operare all’interno della Striscia di Gaza.

Secondo Israele queste ong non soddisfano i nuovi requisiti per operare in quel territorio, oltre che in Cisgiordania e a Gerusalemme Est, che secondo la legge internazionale è territorio palestinese: in particolare, secondo il governo, le ong in questione non avrebbero fornito tutti i dettagli necessari per accertare che i loro dipendenti non abbiano legami con gruppi e organizzazioni terroristiche palestinesi, come sospetta il governo. Le nuove norme per poter fare assistenza umanitaria nei territori palestinesi sono entrate in vigore un anno fa.

Il provvedimento annunciato dal governo (in particolare dal ministero degli Affari della diaspora e del contrasto all’antisemitismo) riguarda alcune note organizzazioni internazionali come ActionAid, l’International Rescue Committee e il Norwegian Refugee Council: dal 1° gennaio la loro licenza sarà revocata e avranno due mesi per concludere tutte le attività, quindi entro marzo.

Israele accusa da tempo le organizzazioni umanitarie che operano nella Striscia di avere legami con Hamas (il caso più discusso è stato quello dell’UNRWA, l’agenzia delle Nazioni Unite che si occupa di fornire assistenza umanitaria ai profughi palestinesi). Hamas governa la Striscia di Gaza dal 2007: chi opera al suo interno è in molti casi obbligato a lavorare a stretto contatto col gruppo.

Le ong interessate dal provvedimento di Israele sono una trentina. In un comunicato congiunto, i ministeri degli Esteri di Regno Unito, Francia, Canada, Danimarca, Finlandia, Islanda, Giappone, Norvegia, Svizzera e Svezia hanno detto che l’interruzione forzata dell’attività delle ong avrà un grave impatto sull’accesso della popolazione della Striscia a servizi essenziali come le cure mediche.

Dopo due mesi dall’inizio dell’ultimo cessate il fuoco, nella Striscia la situazione è ancora disastrosa: oltre un milione e mezzo di persone (su un totale di circa 2 milioni) è in condizioni di grave insicurezza alimentare, secondo l’Integrated Food Security Phase Classification, un consorzio di 21 organizzazioni e istituzioni intergovernative, tra cui varie agenzie delle Nazioni Unite.

Il governo israeliano ha sostenuto che il divieto imposto alle ong non avrà un impatto sull’assistenza umanitaria nella Striscia, che potrà continuare solo attraverso «canali approvati dal governo», come, ha detto il governo, le agenzie delle Nazioni Unite, «partner bilaterali» e «organizzazioni umanitarie che operano nel pieno rispetto delle regole israeliane».

Nel corso dell’ultimo anno uno di questi canali è stata la Gaza Humanitarian Foundation, la contestata ong creata da Israele per distribuire cibo nella Striscia, nei cui punti di raccolta sono stati uccisi centinaia di civili palestinesi.

Le nuove norme per poter fare assistenza umanitaria nei territori palestinesi sono severe e non permettono critiche all’attività di Israele nei territori palestinesi: tra i motivi per cui a un’ong può essere vietato di operare c’è l’eventuale promozione di «campagne che delegittimano Israele», l’esortazione a boicottarne le attività o il sostegno al perseguimento delle forze armate israeliane «in tribunali stranieri o internazionali».