In 350 senza acqua calda né riscaldamento
I migranti di un centro di accoglienza in provincia di Treviso vivono così, e fra qualche giorno la temperatura scenderà sotto zero

In questi giorni nel Centro di accoglienza straordinaria (CAS) per migranti di Oderzo, in provincia di Treviso, circa 350 persone vivono ammassate l’una accanto all’altra, al freddo, in un tendone nel cortile della struttura, una vecchia base militare.
Diverse inchieste hanno mostrato come le condizioni delle persone ospiti dei CAS siano spesso molto precarie, fra alloggi fatiscenti e pochi o pochissimi servizi disponibili a parte un tetto sopra la testa, un letto pulito, del cibo e un bagno. A Oderzo anche i pochi elementi di un’assistenza di base sono carenti.
I migranti del CAS di Oderzo sono tutti adulti maschi, provenienti soprattutto dal Bangladesh e dall’Africa subsahariana. Alcuni attendono da anni il riconoscimento della protezione internazionale. Di recente hanno fatto video con i loro cellulari per mostrare le condizioni in cui vivono: il riscaldamento non funziona, i letti sono sprovvisti di coperte adeguate, i bagni sono in pessime condizioni. Nei prossimi giorni è previsto che la temperatura scenda sotto lo zero.
Dentro al tendone farà quasi freddo quanto all’esterno, dove i migranti passano la maggior parte delle loro giornate.
Ogni mattina all’alba molti di loro escono dal centro per andare a raccogliere il radicchio nei campi della zona. Davanti al CAS li attendono furgoni, pullmini e pick-up. Gli autisti li portano al lavoro trattenendo una parte del compenso, che in media è tra i 6 e i 7 euro all’ora. Sono anche i loro datori di lavoro: titolari di piccole ditte individuali che forniscono la manodopera alle aziende agricole, e li assumono in nero o in grigio, cioè per un numero di ore molto inferiore a quello effettivo.
Quando rientrano, nel tardo pomeriggio, dicono che il tendone non è riscaldato e che sono costretti a lavarsi con l’acqua gelida. I bagni si trovano in alcuni container e secondo le loro denunce non sono riscaldati. Da qualche tempo sono anche bui, perché c’è stato un guasto e l’impianto di illuminazione non è stato riparato. I video inviati al Post mostrano ambienti dalle condizioni igieniche molto precarie e alcuni gabinetti rotti.
Alcuni richiedenti asilo, che preferiscono rimanere anonimi perché hanno paura dai responsabili del CAS, raccontano che di notte sono costretti a dormire tenendo addosso gli abiti da lavoro perché anche le coperte sono troppo leggere e insufficienti, come mostrano in un video. Sostengono inoltre che i pasti sono scarsi e di cattiva qualità, e che spesso non ricevono neppure il cosiddetto pocket money, una diaria giornaliera di 2,5 euro per le piccole spese quotidiane.
Il CAS di Oderzo si trova nella ex caserma militare Zanusso e ha una capacità ufficiale di 260 posti. Fu aperto nel 2015 per dare una sistemazione provvisoria ad alcune centinaia di richiedenti asilo: nel piazzale vennero montati due tendoni, uno per dormire e un altro dove c’è la mensa, perché la struttura, abbandonata da anni, era inagibile. Da allora la base non è stata ristrutturata, ma il CAS è diventato permanente e i migranti sono rimasti nei tendoni all’aperto, che sono caldi d’estate e freddi in inverno. In alcuni periodi ha ospitato fino a 600 persone. L’ultimo bando per la gestione prevede un finanziamento pubblico di 18 milioni e mezzo per una gestione di due anni, dal primo ottobre 2025 al 30 settembre 2027, con la possibilità per la prefettura di prolungare la gestione per un altro anno.
Dal 2022 la gestione del CAS è affidata alla cooperativa Officine Sociali, che gestisce diverse strutture per migranti in tutta Italia, tra cui il Centro di accoglienza per richiedenti asilo (CARA) di Borgo Mezzanone, in Puglia, e il centro di permanenza temporanea (CPR) di Palazzo San Gervasio, in Basilicata, dove è in corso un’indagine della magistratura per la morte di un migrante, Oussama Darkaoui, avvenuta il 4 agosto del 2024. La prefettura di Potenza ha segnalato inoltre numerose irregolarità nella gestione del CPR, fra cui il mancato pagamento del pocket money, la scarsa pulizia, il cibo insufficiente e diversi servizi, come quelli medici e di assistenza sociale, molto al di sotto delle ore previste dal bando.
– Leggi anche: Cosa c’è dentro al CPR di Palazzo San Gervasio
Le persone che conoscono il CAS di Oderzo sostengono che non sia mai stato una struttura modello, ma che le cose ultimamente siano degenerate.
«La situazione nella ex caserma Zanusso è peggiorata da quando nel centro sono stati tagliati i corsi di italiano», dice Sebastiano Grosselle della FLAI (Federazione lavoratori dell’agro industria) CGIL. «Dall’esterno non entra più nessuno e anche i migranti sono diventati più diffidenti verso l’esterno, poiché non parlano la nostra lingua, hanno rapporti solo con i caporali ed è molto difficile avvicinarli». Dal suo insediamento il governo guidato da Giorgia Meloni ha eliminato i corsi di italiano dai bandi con cui sceglie gli enti gestori a cui affidare i CAS. Erano uno strumento prezioso per agevolare l’inserimento di persone che spesso vengono da paesi molto lontani.
A Oderzo la CGIL ha messo a disposizione un locale nella sua sede per ospitare un corso di italiano per gli ospiti del CAS, tenuto dai volontari della Società San Vincenzo De Paoli, un’associazione di area cattolica. Nel resto del tempo, gli ospiti lavorano nei campi.
Nel trevigiano il caporalato è un fenomeno molto diffuso: il 16 dicembre a Vedelago, un comune a poche decine di chilometri da Oderzo, 42 migranti provenienti dal Bangladesh e dal Pakistan sono stati trovati stipati in un casolare di campagna utilizzato come dormitorio. Erano tutti dipendenti di una ditta creata da un uomo pakistano che forniva i lavoratori alle aziende agricole della zona. L’estate scorsa l’INPS e la prefettura hanno stretto un accordo con le associazioni degli imprenditori agricoli che consente loro di verificare in tempo reale se le ditte individuali dei fornitori di manodopera siano regolari e che contratti fanno ai lavoratori: finora nessuna azienda se n’è servita.
La CGIL ha segnalato tutto alle autorità giudiziarie e alla prefettura, che nei giorni scorsi ha fatto un’ispezione nel centro. Uno dei migranti ospiti del centro racconta che il giorno dopo gli è stato dato il pocket money, ma che «le caldaie per il riscaldamento e per l’acqua calda, accese durante i controlli, sono state spente di nuovo». I servizi igienici non sono stati sistemati.



