Nella destra trumpiana si sta litigando parecchio
Lo si è visto anche alla convention annuale dell'associazione fondata da Charlie Kirk, che è stata caotica e piena di polemiche

Domenica a Phoenix, in Arizona, si è conclusa l’annuale convention di Turning Point USA, l’associazione politica fondata dall’attivista di destra Charlie Kirk e vicinissima al presidente statunitense Donald Trump. L’edizione di quest’anno era la prima senza Charlie Kirk, ucciso lo scorso settembre durante un evento pubblico in un’università dello Utah, e la prima dall’inizio del secondo mandato di Trump da presidente. È stata tutt’altro che una celebrazione del momento, in ricordo di Kirk.
Tutti i tre giorni di incontri e conferenze sono anzi stati caratterizzati da estese polemiche portate avanti da alcuni degli ospiti principali e da una generale tensione, descritta da molti partecipanti. Persino la presidente di Turning Point USA – Erika Kirk, la vedova di Charlie – lo ha riconosciuto implicitamente, paragonando l’edizione di quest’anno a «una cena della festa del Ringraziamento in cui una famiglia cerca di risolvere le sue magagne».
Per alcuni le polemiche dei giorni scorsi nascondono disaccordi più profondi e forse inconciliabili all’interno della destra trumpiana; al momento, peraltro, nessuna delle questioni emerse durante la convention è stata davvero risolta.
Le turbolenze sono iniziate già durante il primo giorno della convention, giovedì, quando il popolare giornalista conservatore Ben Shapiro, ebreo praticante, ha criticato duramente una serie di figure molto importanti della destra trumpiana accusandole soprattutto di far circolare teorie complottiste su Israele. Ormai da mesi diverse figure radicali della destra statunitense stanno criticando Trump per essersi avvicinato troppo al governo di Benjamin Netanyahu, da destra: cioè in sostanza accusano Trump di essersi fatto manipolare da una potenza straniera che non ha a cuore gli interessi degli Stati Uniti.
Shapiro ha parlato della presenza a destra di «ciarlatani» e «impostori» che «dicono di parlare in nome di qualche principio ma in realtà praticano complottismo e disonestà intellettuale».
Poi Shapiro ha fatto i nomi: ha citato l’ex presentatore di Fox News Tucker Carlson, accusandolo di «bassezza morale» per avere ospitato nel suo nuovo talk show il noto attivista antisemita Nick Fuentes; ha accusato l’attivista Candace Owens, oggi autrice di un popolarissimo podcast fra i sostenitori di Trump, di «vomitare teorie complottiste da anni», da ultimo sulla morte di Kirk (che secondo Owens sarebbe stata organizzata da Israele). In un passaggio ha anche dato della «codarda» alla giornalista Megyn Kelly, anche lei famosissima soprattutto fra i conservatori, per avere ospitato e legittimato proprio Owens.
Nei giorni successivi alcune delle persone citate in prima persona da Shapiro gli hanno risposto a tono, sul palco.
Poche ore dopo il discorso di Shapiro, Tucker Carlson l’ha accusato di voler «delegittimare» i leader della destra trumpiana e raccontato di avere riso parecchio durante il suo intervento, «come quando osservi il mondo andare al contrario, e per esempio vedi il tuo cane compilare la dichiarazione dei redditi». Kelly ha fatto sapere che considera finita la sua amicizia con Shapiro. Owens ha risposto a Shapiro in una puntata del suo podcast, definendolo «un miserabile folletto» (da anni alcuni prendono in giro Shapiro sostenendo sia basso).
Steve Bannon, ex consulente di Trump alla Casa Bianca, ha usato i toni più duri: ha definito Shapiro «un tumore» che si sta «diffondendo» fra i sostenitori di Trump.
Secondo alcuni dietro questi insulti si nasconde un dibattito più ampio sulla vera natura della destra trumpiana: quelli come Shapiro la percepiscono vicina alla destra statunitense classica, e quindi rispettosa dei bilanciamenti democratici, dall’identità etnica plurale e interessata ad avere commerci e relazioni globali; per quelli come Bannon, Carlson, Owens e Kelly invece dovrebbe assumere caratteri più fortemente nazionalisti e identitari, a costo di sacrificare per esempio l’indipendenza dei giudici e la tutela delle minoranze (nonostante Owens sia afroamericana).
Un’altra figura molto nota della destra trumpiana, l’imprenditore Vivek Ramaswamy – ex capo del dipartimento DOGE assieme a Elon Musk, candidato alle primarie Repubblicane del 2024 e attuale candidato governatore dell’Ohio – si è in qualche modo allineato a Shapiro parlando del pericolo che la destra trumpiana sia monopolizzata da chi parla di «tradizione americana» riferendosi soltanto ai discendenti dei primi coloni bianchi che arrivarono dall’Europa.
La convention è stata chiusa da un discorso del vicepresidente J.D. Vance, che non ha preso esplicitamente le parti di nessuno, come ha notato il New York Times, ma poi ha detto una serie di cose di solito molto apprezzate dalla fazione di Bannon, Carlson e Kelly. Vance ha detto che negli Stati Uniti «non bisogna più scusarsi per essere bianchi», e che «il cristianesimo è la lingua morale dell’America».
Nel suo discorso Vance ha anche commentato in maniera piuttosto autoironica un altro momento di cui si era molto parlato, qualche giorno prima: un’intervista di Erika Kirk alla cantante Nicki Minaj in cui quest’ultima si era riferita a Vance come a «un assassino», di fatto dimostrando di appoggiare una popolare teoria complottista sul fatto che Charlie Kirk sia stato fatto uccidere proprio da Vance.



