Quali sono i quartieri più disagiati nelle grandi città
Per la prima volta l’ISTAT li ha messi sulle mappe, incrociando i dati su problemi sociali, educativi, economici e lavorativi

L’Istituto nazionale di statistica (ISTAT) ha pubblicato per la prima volta dati molto dettagliati che mostrano quali sono le aree delle grandi città italiane con un elevato disagio economico e sociale. In alcune città i dati sono stati mappati per quartiere, in altre addirittura a un livello di dettaglio maggiore. Le mappe e i dati sono il risultato di un lavoro durato alcuni anni: l’obiettivo dell’ISTAT è mettere a disposizione di chi amministra le città informazioni utili per studiare e migliorare le politiche sociali, aumentare i servizi e sostenere le persone più in difficoltà.
Le aree più disagiate sono state individuate attraverso un indice chiamato IDISE, Indice di DIsagio Socio-Economico, che cerca di rispondere a una domanda molto complessa: come si misura il disagio? I ricercatori dell’ISTAT hanno risposto incrociando nove indicatori. Tra gli altri ci sono il tasso di occupazione tra 25 e 64 anni, la percentuale di famiglie a basso reddito, la percentuale di persone con più di 70 anni che vivono da sole e non hanno una casa di proprietà, la percentuale di giovani che non studia e non lavora, la percentuale di studenti che abbandona la scuola.
Ogni indicatore contribuisce a formare l’indice IDISE che ha un valore di riferimento pari a 100: nelle aree che lo superano il disagio è maggiore. Le zone dove l’indice è più alto vengono chiamate ADU, Aree di Disagio socio-economico in ambito Urbano.
L’ISTAT ha tutti questi dati al massimo livello di dettaglio possibile (tecnicamente viene chiamata “granularità” dei dati), fino al singolo individuo o alla singola famiglia, ma per tutelare la riservatezza deve aggregarli alle aree dove abitano almeno 250 persone.
Le città coinvolte in questa prima fase sperimentale sono 25: Bari, Bologna, Cagliari, Carpi, Catania, Firenze, Genova, Gorizia, Messina, Milano, Modena, Napoli, Olbia, Padova, Palermo, Parma, Perugia, Prato, Reggio di Calabria, Roma, Taranto, Torino, Trieste, Venezia e Verona. Per ora sono stati diffusi i dati aggiornati al 2021, che risentono almeno in parte delle conseguenze dell’emergenza coronavirus, ma già dai prossimi mesi saranno pubblicati i dati aggiornati al 2023 e per tutte le città con più di 50mila abitanti.
Le mappe di Roma, Napoli e Milano mostrano quanto i dati siano dettagliati. Le aree di disagio socio-economico individuate dall’ISTAT sono colorate in rosso, ma passando il dito o il puntatore su tutta la città è possibile vedere una selezione degli indicatori. Il dato è riferito e pesato sulle condizioni di vita delle singole città: significa che un indice 100 di Milano non è uguale all’indice 100 di Roma.
A Roma le zone con l’indice IDISE più elevato, quindi con maggiore disagio, sono Tufello, Tor Cervara e Foro Italico, quest’ultimo molto probabilmente per effetto del campo rom il cui sgombero avvenuto tra il 2020 e il 2021 non risulta ancora dai dati. Per la città di Roma ISTAT considera le cosiddette zone urbanistiche, aree più piccole rispetto ai quartieri.
Molti quartieri di Napoli superano il valore 100 di riferimento: quello dove il disagio socio-economico è maggiore è il rione Mercato, il secondo è il quartiere Pendino.
A Milano l’area con più problemi è Ponte Lambro-Monlué, oltre la tangenziale est, nell’estrema periferia orientale della città. Ma l’indice è elevato anche in alcune zone più vicine al centro come San Siro. A Milano il dato è riferito ai cosiddetti NIL, Nuclei di Identità Locale, aree più piccole rispetto ai quartieri.
Giancarlo Carbonetti, uno dei responsabili dello studio, spiega che questi dati sono importanti perché per la prima volta gli amministratori – i sindaci, gli assessori e i funzionari comunali – hanno una misura del disagio. Possono cioè studiare le cause della povertà economica e sociale, oltre che quelle della percezione di insicurezza. «L’obiettivo era mettere nelle loro mani informazioni per capire come intervenire con politiche pensate su misura a seconda dei problemi e con un elevato livello di dettaglio», dice Carbonetti. «Il passo successivo è integrare questi dati con i servizi presenti sul territorio, per capire ancora meglio cosa manca».



