Perché il true crime piace di più alle donne?

Sono di gran lunga il pubblico principale, e secondo un nuovo studio le ragioni potrebbero essere evolutive

Una ragazza legge un libro e indossa degli auricolari seduta da sola, di notte, alla fermata di una stazione ferroviaria

Una ragazza legge un libro e indossa degli auricolari seduta nella stazione di Baker Street, a Londra (TheOtherKev/Pixabay)

Il filosofo David Hume scriveva che il pubblico della tragedia «prova piacere nella misura in cui è afflitto». Sul piano scientifico, però, l’attrazione umana per le brutte storie è una questione dibattuta. Alcuni la attribuiscono a una tendenza psicologica a prestare più attenzione agli stimoli negativi, per ragioni di sopravvivenza. Altri obiettano che la sopravvivenza dipenda più dalla ricerca di ricompense che di informazioni sui pericoli da evitare.

Il caso del true crime, uno dei generi di maggiore successo degli ultimi anni, argomento di podcast, libri e programmi, presenta un ulteriore livello di complicazione: un marcato divario di genere. Diversi studi mostrano che la grande maggioranza delle persone che lo seguono è composta da donne: dal 70 al 93 per cento, a seconda dei sondaggi. Le ragioni non sono chiare e non sono nemmeno state molto esplorate, ma i risultati di un recente studio di psicologia dell’università di Graz, in Austria, hanno dato sostegno all’ipotesi che l’evoluzione abbia effettivamente un ruolo.

Il gruppo di ricerca ha intervistato 571 persone: dalle loro risposte è emerso che il fascino per il true crime tra le donne è legato principalmente al desiderio di comprendere da cosa nascono e come si sviluppano situazioni pericolose in cui è possibile trovarsi, e come prevenirle nella vita reale. È un fattore che i ricercatori e le ricercatrici definiscono «vigilanza difensiva», già descritto in un precedente studio del 2021. Seguire un programma true crime, da questo punto di vista, sarebbe come avere esperienza indiretta di un pericolo possibile, in condizioni di sicurezza.

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Per misurare la frequenza e capire le ragioni per cui le persone seguono il true crime, il gruppo ha ampliato e utilizzato un questionario elaborato nello studio precedente, e ha condotto una delle indagini empiriche più complete sull’argomento. Ha chiesto ai partecipanti di valutare su una scala da 1 a 7 quanto fossero d’accordo con circa 30 affermazioni, tra cui: «Guardo/leggo/ascolto true crime per imparare a difendermi dalle aggressioni», «perché è emozionante ed eccitante», «perché descrive situazioni e storie reali», «per vedere i miei problemi da un’altra prospettiva», «per imparare a gestire i miei sentimenti negativi».

I risultati, pubblicati sul British Journal of Psychology, hanno permesso di confermare che le donne seguono il true crime più degli uomini, specialmente in formato podcast, e di scoprire una netta differenza di genere anche nelle motivazioni. La vigilanza difensiva, il desiderio di gestire le emozioni e la curiosità per la mentalità delle persone pericolose erano fattori molti più citati nelle risposte delle donne.

Quattro donne fissano lo smartphone sedute in un vagone della metropolitana, e una di loro indossa una paio di cuffie

Quattro passeggere in metropolitana, a New York (AP Photo/Mark Lennihan)

Non è emersa invece alcuna correlazione significativa tra la passione per il true crime e una curiosità generica per le notizie violente. Ha senso che non ci sia, secondo il gruppo di ricerca, perché «non tutte le storie di cronaca nera includono la violenza, ma attingono a uno spettro molto più ampio di trasgressioni umane, inganni, tradimenti e comportamenti devianti».

Le conclusioni dello studio sono importanti, secondo gli autori e le autrici, perché screditano in parte alcune ipotesi suggerite in passato per spiegare il divario di genere nel consumo di true crime. Una è che le donne siano più sensibili alle campagne di marketing dei media in generale, ipotesi improbabile perché in realtà i maggiori consumatori di podcast e di news sono gli uomini. Un’altra è che le donne siano più curiose in generale verso contenuti sensazionalistici: ipotesi non supportata dai dati dello studio.

Qualunque sia la spiegazione, è più probabile che riguardi motivazioni particolari e non generiche abitudini di consumo. Sulla base dei dati raccolti, gli autori e le autrici dello studio giudicano credibile e motivata l’ipotesi di un’influenza di fattori evolutivi. Per le donne il rischio di subire aggressioni sessuali e di pagarne gravi conseguenze sociali e psicologiche a lungo termine è sempre stato alto. Probabilmente la tendenza a cercare informazioni sui rischi è quindi parte di una strategia di adattamento, non l’effetto di curiosità morbose o paure irrazionali.

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«Il ragionamento è che il sistema di gestione delle minacce delle donne è altamente sensibile alle minacce fisiche e sessuali che compromettono la loro idoneità biologica e la loro scelta riproduttiva», scrivono i ricercatori e le ricercatrici, e questo può spiegare la particolare inclinazione delle donne a seguire il true crime. Potrebbe anche spiegare il ruolo sociale del pettegolezzo, prevalente infatti tra le donne e ampiamente studiato nelle scienze sociali come forma di scambio e apprendimento di informazioni attraverso il racconto di disavventure o successi altrui.

Lo studio mette infine in discussione anche un’altra ipotesi ricorrente nel dibattito sui giornali e sui social: l’idea della red flag, cioè che un particolare gusto per il true crime sia segno di qualche disturbo o di una condizione di vulnerabilità psicologica. In generale, dall’analisi dei tratti psicologici dei partecipanti, non sono emerse correlazioni tra consumo di true crime e problemi di salute mentale, e anche le correlazioni con condizioni di ansia e stress sono piuttosto deboli.

Nonostante la grande quantità e varietà di dati raccolti per questo studio, i meccanismi psicologici alla base del gusto per il true crime rimangono in gran parte non ancora compresi. I ricercatori e le ricercatrici hanno inoltre posto attenzione al fatto che lo studio sia correlazionale e che non sia sufficiente per stabilire relazioni causali certe. I risultati permettono però di estendere la base empirica di un dibattito spesso basato su opinioni, aneddoti e impressioni personali.