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  • Martedì 16 dicembre 2025

L’America Latina si sta spostando a destra

La vittoria in Cile di José Antonio Kast è solo l'ultimo esempio: c'entrano i gruppi criminali, l'influenza di Donald Trump e un “pendolo”

Sostenitori di José Antonio Kast a Santiago del Cile (AP Photo/Matias Delacroix)
Sostenitori di José Antonio Kast a Santiago del Cile (AP Photo/Matias Delacroix)
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L’elezione di José Antonio Kast alla presidenza del Cile aumenta il numero dei governi molto di destra in America Latina. Kast, fondatore del partito Repubblicano e apertamente nostalgico della dittatura di Augusto Pinochet, si aggiunge a Javier Milei in Argentina, a Daniel Noboa in Ecuador e a Nayib Bukele a El Salvador. Lo scorso ottobre in Bolivia Rodrigo Paz è stato eletto dopo un ventennio di governi di sinistra: è di centrodestra, anche se su posizioni più moderate rispetto agli altri. Nella stessa area politica conservatrice ci sono il presidente del Paraguay, Santiago Peña, José Raúl Mulino a Panama e Rodrigo Chaves in Costa Rica. In Honduras due settimane dopo il voto per le presidenziali non si sa ancora chi abbia vinto, ma i due candidati favoriti sono di destra e di centro.

Dopo anni in cui nella regione erano stati prevalenti i governi di sinistra, talvolta con tendenze populiste e spesso in aperta contrapposizione con gli Stati Uniti, alle ultime elezioni l’elettorato latinoamericano ha preferito candidati che promettono di ristabilire “legge e ordine”, anche se questo significa sacrificare almeno in parte le libertà civili. La grande penetrazione di gruppi criminali transnazionali ha aumentato la sensazione di insicurezza e cambiato le priorità di buona parte dell’elettorato, e molti leader hanno imitato con successo la retorica aggressiva e l’approccio del presidente statunitense Donald Trump, ottenendo sostegno e talvolta aiuti diretti dal suo governo. La cattiva gestione economica di alcuni governi di sinistra ha inoltre reso più popolari politiche liberiste, incentrate sull’iniziativa privata.

Lo spostamento verso destra di una buona parte dell’America Latina è evidente, ma non si sa quanto durerà. Nel 2026 le elezioni in Brasile, Colombia, Perù e Costa Rica potranno accentuarla o ridimensionarla: in Brasile al momento il presidente uscente Luiz Inácio Lula da Silva (di sinistra) è ritenuto ancora favorito, in Colombia la competizione per la successione a Gustavo Petro (anche lui di sinistra) è aperta. E già oggi esistono eccezioni alle svolte a destra, come la popolare Claudia Sheinbaum in Messico o la vittoria di Yamandú Orsi in Uruguay, in un contesto molto meno polarizzato che altrove.

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I presidenti di El Salvador e Argentina Nayib Bukele e Javier Milei a Buenos Aires nel settembre del 2024 (AP Photo/Natacha Pisarenko)

I candidati di destra che hanno vinto le elezioni di recente hanno incentrato perlopiù le loro campagne elettorali su due grandi temi: la sicurezza e l’immigrazione. Negli ultimi anni le bande criminali, il cui business principale è molto spesso il traffico di droga, hanno aumentato i crimini e la violenza anche in paesi in passato meno coinvolti dal problema, come Cile, Ecuador o Costa Rica. Molti paesi dell’America Latina sono diventati destinazione di una migrazione interna al continente, soprattutto proveniente dal Venezuela, dove da oltre un decennio è in corso un enorme esodo causato dalla profonda crisi economica. Nel caso del Cile, migrazioni e criminalità sono collegate, perché nel paese il gruppo criminale più attivo e brutale è il Tren de Aragua, nato nelle prigioni venezuelane.

Soldati per le strade di San Salvador, El Salvador (AP Photo/Salvador Melendez)

Di fronte a un aumento della percezione di insicurezza, alimentata anche dai media, l’opinione pubblica ha chiesto misure più radicali e risolute. A El Salvador il presidente Bukele è riuscito a piegare le bande criminali con misure molto aggressive, tra cui incarcerazioni di massa in prigioni enormi. Sono diventate un modello proposto anche da altri candidati, nonostante le modalità crudeli e le sistematiche e documentate violazioni dei diritti umani.

– Leggi anche: Donald Trump sta copiando i video di Nayib Bukele

Molti leader di destra propongono di costruire prigioni e ampliare i poteri della polizia. Vari analisti ritengono che queste misure non risolveranno i problemi (in Ecuador per esempio la “guerra totale” di Noboa al crimine non ha portato grandi risultati) ma al momento funzionano a livello elettorale. Come ha detto al New York Times Will Freeman, ricercatore di studi latinoamericani al Council on Foreign Relations, «una parte crescente dell’opinione pubblica sembra ritenere che valga la pena sacrificare alcune libertà e diritti democratici, se necessario, per consentire allo stato di adottare una linea più dura contro i gruppi criminali».

L’altro grande fattore che ha influenzato lo spostamento verso destra è Trump: in America Latina oggi molti replicano la sua retorica antimigratoria e si dicono a favore della riduzione dell’intervento statale in economia. In più occasioni l’amministrazione statunitense è intervenuta per cercare di influenzare l’esito delle elezioni e per favorire la formazione di governi alleati nel continente. Lo fa con i dazi contro i governi considerati avversi, come il Brasile, e con aiuti economici a quelli alleati, come l’acquisto di moneta locale in Argentina per sostenere Milei. Per molti elettori di paesi economicamente fragili o in perenne rischio di una crisi economica, le minacce o le promesse statunitensi possono fare la differenza.

José Antonio Kast durante la campagna elettorale (AP Photo/Matias Delacroix)

Gli Stati Uniti non hanno interessi solo politici, ma anche economici e di risorse. Bolivia, Argentina e Cile hanno metà delle riserve mondiali di litio, il Cile produce il 25 per cento del rame al mondo, il Brasile ha grandi quantità delle cosiddette terre rare, in Guyana e Suriname ci sono promettenti giacimenti di petrolio e gas naturale. Gli Stati Uniti nella regione stanno cercando di ridurre influenze e investimenti della Cina, non sempre riuscendoci, anche quando i governi si spostano verso destra e si avvicinano all’amministrazione Trump.

Non in tutte le occasioni le pressioni dagli Stati Uniti sortiscono gli effetti sperati, anzi: in alcuni casi risvegliano sentimenti popolari di opposizione alle ingerenze esterne. In Brasile per esempio Trump ha imposto dazi per cercare di proteggere l’ex presidente di estrema destra Jair Bolsonaro da una condanna per colpo di stato, e la popolarità di Lula è cresciuta. Quando Trump ha fatto pressioni per il controllo del canale di Panama, il presidente Mulino è stato criticato per aver mantenuto un atteggiamento troppo morbido. In Ecuador un recente referendum che proponeva di aprire il paese alla possibilità di basi militari straniere, cioè statunitensi, è stato ampiamente respinto.

È possibile che lo spostamento verso destra dell’America Latina sia il risultato di un fenomeno ciclico, in un continente dove gli elettorati sono propensi al cambiamento. Tra il 2018 e il 2023, in 22 elezioni libere e democratiche le opposizioni al governo avevano vinto 20 volte (l’unica eccezione fu il Paraguay, due volte): in seguito Messico, Salvador ed Ecuador hanno solo parzialmente attenuato questa tendenza all’alternanza continua, chiamata “pendolo”. Il desiderio continuo di cambiamento, che ora colpisce soprattutto i governi di sinistra, è spesso il risultato di classi politiche perlopiù incapaci di ridurre povertà, diseguaglianze, disservizi e criminalità: non è un problema solo del centro o sud America, ma colpisce in modo più radicale paesi in cui le democrazie sono più giovani e le società più sbilanciate.