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  • Venerdì 11 agosto 2023

L’America Latina vorrebbe approfittare della transizione energetica

La regione è ricca di metalli fondamentali per la produzione di batterie elettriche: ci sono molte opportunità, e qualche rischio

Un tecnico supervisiona l'estrazione del litio nel deserto di Atacama, in Chile (John Moore/Getty Images)
Un tecnico supervisiona l'estrazione del litio nel deserto di Atacama, in Chile (John Moore/Getty Images)
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Si stima che nel corso dei prossimi anni la domanda globale di metalli come il litio, il rame e il cobalto, fondamentali per la produzione di batterie per i veicoli elettrici e altre tecnologie per la transizione energetica, aumenterà notevolmente. È una notizia interessante per molti paesi dell’America del Sud, dove si concentra gran parte delle riserve: alcuni governi si stanno già preparando ad aumentare i ritmi di estrazione ed esportazione, sperando di cogliere l’occasione e favorire la crescita economica. Affidare la propria prosperità a un settore volatile e controverso come quello minerario, però, presenta anche alcuni rischi.

Secondi i dati dell’Agenzia internazionale dell’energia (IEA), già oggi l’America Latina – la regione che include i paesi del centro e del sud del continente – produce il 40 per cento del rame a livello mondiale, con quote importanti soprattutto in Cile (27 per cento) e in Perù (10 per cento). Il rame viene utilizzato in molti sistemi per la produzione di energia rinnovabile, tra cui i pannelli fotovoltaici e le pale eoliche.

Dall’America Latina proviene anche più di un terzo del litio estratto a livello mondiale, un metallo fondamentale per la produzione delle batterie per i veicoli elettrici, gli smartphone e i computer, che però è piuttosto difficile da reperire. Ne sono ricchi soprattutto il Cile, che produce il 26 per cento del litio su scala mondiale, l’Argentina (6 per cento) e la Bolivia, dove al momento la mancanza di infrastrutture ne rende difficile l’estrazione. Negli ultimi dieci anni in America Latina gli investimenti per la ricerca di litio sono più che raddoppiati, passando da una spesa complessiva di 44 milioni di dollari nel 2010 a 91 milioni di dollari nel 2021 (circa 83 milioni di euro). Inoltre, in Sud America sono presenti anche grosse riserve di argento, zinco, nichel e grafite, altri minerali importanti per la transizione energetica.

Le attività estrattive nella regione sono favorite dalla conformazione del territorio: per esempio, il litio presente in alcune riserve della zona – come il deserto di Atacama, in Cile – è più facile da estrarre rispetto a quello presente in altri paesi, come la Cina e l’Australia. Inoltre, sebbene non ottimale, la rete dei trasporti in Sud America è migliore rispetto a quella di alcune aree dell’Africa e dell’Asia, altrettanto ricche di risorse. Secondo l’Economist la domanda di minerali sudamericani potrebbe essere favorita anche dalla situazione politica: con l’intensificazione delle ostilità commerciali tra Cina e Stati Uniti l’America del Sud può presentarsi come una regione neutrale, aperta a nuovi investimenti e con cui alcuni paesi occidentali hanno già attivato accordi di libero scambio.

Si stima che nei prossimi anni la domanda per gli impianti di energia rinnovabile e per i veicoli elettrici aumenterà notevolmente, per rispettare gli impegni presi dai governi e dalle organizzazioni internazionali sulla transizione energetica e sulla riduzione dei livelli di emissioni. Secondo l’IEA, per esempio, nel 2025 verranno venduti oltre 20 milioni di veicoli elettrici, e la quota crescerà di oltre dieci volte entro il 2050, arrivando a 250 milioni di veicoli. Di conseguenza metalli come il litio, il rame e il nickel diventeranno fondamentali per lo sviluppo del settore.

A gennaio il cancelliere tedesco Olaf Scholz ha visitato alcuni paesi sudamericani, tra cui il Cile e l’Argentina, per stringere nuovi accordi e rafforzare i rapporti in ambito minerario, e a giugno la presidente della Commissione europea Ursula von der Leyen ha fatto un viaggio simile, incontrando vari rappresentanti politici e commerciali della zona.

Per approfittare del crescente interesse e centralizzare la gestione delle attività estrattive, alcuni paesi sudamericani hanno deciso di avviare una graduale nazionalizzazione delle risorse. A fine aprile, per esempio, il governo cileno guidato dal presidente progressista Gabriel Boric ha presentato la “Strategia nazionale per il litio”, che attribuisce allo stato un ruolo importante nella gestione delle riserve minerarie nazionali. Presentando l’iniziativa, Boric ha detto che il litio rappresenta «la migliore opportunità che abbiamo per passare a un’economia sostenibile e sviluppata».

Nella vicina Bolivia, però, i tentativi di nazionalizzare la produzione di litio sono cominciati anni fa e non sono andati bene: l’ex presidente Evo Morales, in carica tra il 2006 e il 2019, ha sempre sostenuto la necessità per il governo di gestire in modo diretto le risorse, e investito centinaia di milioni di dollari nel tentativo di sviluppare tecnologie che facilitassero l’estrazione del litio, con risultati deludenti se comparati alla quantità enorme di risorse disponibili. Lo scorso giugno il nuovo governo del presidente Luis Arce ha firmato un accordo da 1,4 miliardi di dollari con l’azienda cinese CATL, la principale produttrice di batterie elettriche al mondo, per la costruzione di nuovi impianti all’avanguardia che dovrebbero permettere di estrarre 200mila tonnellate di litio all’anno.

Un impianto per l’estrazione del litio nel Salar de Uyuni, in Bolivia (Gaston Brito Miserocchi/Getty Images)

L’intensificazione della domanda per minerali come il litio e il rame presenta anche possibili difficoltà per i governi sudamericani. Tra questi ci sono le preoccupazioni legate all’ambiente: le attività estrattive richiedono molta acqua ed energia e possono danneggiare il territorio e gli ecosistemi circostanti, che in questa regione sono particolarmente preziosi e fragili. Per questo i progetti sono spesso osteggiati dagli attivisti e dalle comunità locali, oppure vengono bloccati dai governi perché non rispettano gli standard minimi di sostenibilità.

Inoltre, mentre l’America del Sud è una grande estrattrice di minerali, non è altrettanto preparata alla loro lavorazione: il 58 per cento del litio usato a livello mondiale viene lavorato in Cina, così come il 65 per cento del cobalto e il 40 per cento del rame. I governi sudamericani stanno investendo per aprire nuovi impianti – la prima fabbrica argentina di batterie al litio dovrebbe avviare le attività il prossimo settembre – ma si tratta di lavori altamente specializzati che richiedono investimenti e competenze difficili da mettere insieme in poco tempo.

Non sarebbe la prima volta che l’America Latina prospera grazie alle sue materie prime, per poi doverne gestire le conseguenze. Tra il 2000 e il 2014 i prezzi delle materie prime aumentarono notevolmente a livello globale, soprattutto a causa della forte crescita di economie emergenti come la Cina e l’India, e molti paesi dell’America Latina si arricchirono puntando sulle esportazioni. La nuova prosperità ebbe effetti positivi su molti settori della società: la povertà scese dal 27 per cento al 12 per cento, e anche le diseguaglianze si ridussero molto, secondo le analisi del Fondo monetario internazionale.

Una volta finito il momento fortunato per le esportazioni, però, emersero i problemi. Invece che reinvestire i guadagni in opere pubbliche utili a tutti i cittadini, i governi di alcuni paesi – tra cui Bolivia, Brasile e Perù – li restituirono alle regioni più ricche di risorse minerarie, permettendo quindi ad alcune zone di prosperare molto più di altre. Inoltre, la brusca interruzione della crescita mise in luce i rischi di un’economia eccessivamente legata all’esportazione di minerali e altre materie prime, i cui prezzi possono cambiare rapidamente. Negli anni immediatamente successivi al 2014 i paesi che avevano puntato sulle esportazioni hanno continuato a crescere, ma in modo molto più contenuto rispetto al periodo precedente.