L’imam di Torino Mohamed Shahin è stato liberato
Il suo caso era stato discusso dopo l'assalto alla redazione della Stampa, ma della sua espulsione non si è ancora deciso

La Corte d’appello di Torino ha disposto la liberazione dell’imam torinese Mohamed Shahin, detenuto dal 24 novembre nel CPR (centro di permanenza per il rimpatrio) di Caltanissetta. Shahin aveva ricevuto un decreto di espulsione dal ministero dell’Interno perché accusato di avere posizioni estremamente radicali. Secondo la Corte sono però emerse nuove informazioni che mettono in discussione la legittimità del trattenimento di Shahin in un CPR, in cui i detenuti vivono spesso in condizioni pessime. La decisione riguarda il trattenimento in sé, e non il decreto di espulsione, sul quale deve esprimersi il Tribunale amministrativo regionale (TAR) del Lazio.
La Corte d’appello ha deciso di rilasciare Shahin per vari motivi: fra le altre cose perché la procura aveva archiviato l’indagine sulle frasi che aveva pronunciato il 9 ottobre scorso, menzionate dal decreto di espulsione, in cui l’imam disse di essere «d’accordo» con quanto successo il 7 ottobre del 2023, e che la strage compiuta dai miliziani di Hamas in Israele, in cui furono uccise circa 1.200 persone e altre 250 furono rapite, «non è una violenza». La Corte ha rilevato come secondo la procura le sue frasi erano protette dal diritto alla libertà di espressione. Shahin aveva inoltre attenuato quelle frasi nei giorni, dicendo di vedere quello che successe il 7 ottobre non come un’azione, ma come una reazione nel contesto dell’occupazione israeliana dei territori palestinesi che va avanti da decenni.
La Corte d’appello ha sottolineato inoltre come Shahin non sia mai stato accusato di comportamenti violenti, ma solo di blocco stradale perché durante una manifestazione salì su una tangenziale assieme a molte altre persone; che l’imam ha presentato vari documenti che testimoniano il suo impegno a sostenere «i valori su cui si fonda l’ordinamento dello Stato italiano»; e che i contatti con persone indagate per terrorismo (un altro degli elementi della valutazione sulla sua pericolosità) sono stati circoscritti, risalivano a diversi anni fa e sono stati spiegati e giustificati da Shahin nel corso della reclusione. Secondo il giudice della Corte d’appello di Torino quindi Shahin non dovrebbe essere considerato pericoloso.
La sua detenzione aveva causato molte manifestazioni in suo sostegno e contro il decreto di espulsione: non solo da parte della comunità islamica di San Salvario, il quartiere dove faceva l’imam, ma anche da parte di esponenti del clero cattolico, di accademici e ricercatori italiani e di politici soprattutto di centrosinistra, secondo cui il decreto di espulsione nei confronti di Shahin sarebbe una violazione della libertà di espressione. Il 28 novembre un centinaio di manifestanti aveva assaltato e vandalizzato la redazione del quotidiano La Stampa a Torino. Il gruppo di manifestanti si era staccato da un corteo più grande proprio in sostegno di Shahin.
Sono in corso altri due processi riguardanti la permanenza di Shahin in Italia: uno contro la revoca del suo permesso di soggiorno, sulla quale deve decidere il TAR del Piemonte, e uno sulla sua richiesta di asilo, su cui deve esprimersi il tribunale di Caltanissetta. Il decreto di espulsione emesso contro Shahin è stato molto contestato anche perché prevede che venga rimpatriato in Egitto, dove rischierebbe persecuzioni, violenze e torture da parte del regime del presidente autoritario Abdel Fattah al Sisi, contro cui l’imam ha espresso spesso posizioni critiche.



