Un’enorme miniera di ferro potrebbe cambiare la Guinea
È in gran parte controllata dalla Cina, ma gestirla sarà complicato soprattutto per la giunta militare che controlla il paese dal 2021

Il 3 dicembre è partito dalla Guinea il primo carico di ferro estratto da Simandou, una nuova, enorme miniera che è stata aperta dopo trent’anni di lavori grazie a grossi investimenti, soprattutto cinesi. Per renderla operativa ci sono voluti più di 20 miliardi di dollari (17 miliardi di euro), la cifra più alta mai spesa per operazioni di questo tipo: costruirla era però una priorità per la Cina, che spera così di attenuare il suo problema di approvvigionamento del ferro e di parziale dipendenza dall’Australia, che al momento ne è il maggiore esportatore mondiale.
Si stima che la miniera abbia una riserva da almeno 3 miliardi di tonnellate di ferro, e nel periodo di massimo funzionamento dovrebbe produrne 120 milioni di tonnellate all’anno. Come ha raccontato l’Economist, è un’opportunità irripetibile per la Guinea, che è uno dei paesi più poveri al mondo, si trova nell’Africa subsahariana (è distinta dalla Guinea-Bissau e dalla Guinea Equatoriale) e da quattro anni è guidata dalla giunta militare del generale Mamady Doumbouya, che prese il potere nel 2021 con un colpo di stato.
Per via della miniera il governo si troverà a gestire delle quantità di denaro molto superiori a quelle a cui è abituato, con tutti i rischi che questo comporta in un paese politicamente instabile e corrotto. Inoltre un aumento così significativo delle esportazioni di ferro, se non accompagnato da un piano politico ed economico per gestirlo, potrebbe avere come effetto collaterale un rafforzamento della moneta locale (il franco della Guinea) e una conseguente diminuzione della competitività delle altre merci guineane esportate (anche queste in grande maggioranza minerarie, tra cui oro e alluminio).
Il 28 dicembre in Guinea ci saranno le elezioni presidenziali. Nonostante fossero state presentate come il momento in cui la giunta avrebbe lasciato il potere a un governo eletto democraticamente, sono diventate per Doumbouya un mezzo per legittimare il suo ruolo. Per essere sicuro di vincerle, Doumbouya ha parlato molto della sua intenzione di investire i ricavi della miniera in progetti pubblici, promettendo di spendere l’equivalente di 200 miliardi di dollari (oltre 170 miliardi di euro) nei prossimi 15 anni per costruire scuole e diversificare l’economia. Allo stesso tempo però ha escluso i candidati delle opposizioni e ha limitato severamente la libertà di stampa.

(REUTERS/Luc Gnago)
Il giacimento su cui è stata costruita la miniera fu scoperto nel 1997 e i diritti di esplorazione furono dati alla società anglo-australiana Rio Tinto, la seconda più grande al mondo in questo settore. Nonostante l’enorme potenziale, inizialmente la sua costruzione sembrava impossibile a causa dei costi elevatissimi: il giacimento si trova lungo la catena montuosa di Simandou (da cui il nome), in una zona del paese remota, mal collegata, lontana dal mare e spesso colpita da inondazioni, a cui si aggiunge anche una frequente e fitta nebbia che rende difficili gli spostamenti. Per portare il materiale estratto sulla costa è stato necessario costruire una ferrovia di 620 chilometri, e poi un nuovo porto, quello di Morébaya, che fino a tre anni fa non esisteva e da dove oggi partono le navi cariche di ferro.
I lavori sono andati a rilento a causa dell’iniziale mancanza di fondi, di diversi scandali di corruzione e dei cambi di regime in Guinea, ma anche per difficoltà pratiche: per esempio, tutti i materiali da costruzione venivano portati al sito con dei camion dalla capitale Conakry, distante 900 chilometri, e ci volevano 20 giorni di viaggio, con il rischio che ogni carico venisse saccheggiato. I lavori hanno impiegato 50mila persone, e oggi sono 25mila quelle che lavorano nella miniera: l’82 per cento è guineano e a causa dei bassi livelli di alfabetizzazione i moduli di formazione sono basati principalmente su istruzioni orali e disegni.

(REUTERS/Luc Gnago)
Il progetto ha avuto una svolta quando è stato coinvolto il governo cinese, che l’ha finanziato in modo massiccio attraverso la compagnia Chinalco e il consorzio WCS, i cui partner principali sono l’azienda Winning International Group di Singapore e le aziende cinesi Weiqiao Aluminium e Baowu, il più grosso gruppo siderurgico al mondo.
La Cina è il maggiore acquirente di ferro al mondo ed era interessata alla costruzione di una miniera da cui avrebbe potuto attingere in modo cospicuo e che avrebbe, più in generale, aumentato l’offerta di questa materia prima sul mercato, facendone scendere il prezzo. Secondo alcuni analisti, nei prossimi due anni l’aumento di disponibilità dato dalla miniera di Simandou potrebbe far scendere il prezzo globale di una tonnellata di ferro da 100 dollari a un minimo di 7o dollari.
Dopo l’arrivo delle aziende cinesi le altre compagnie hanno deciso di rimanere nel progetto, anche se con quote ridotte. Rio Tinto, la più grande azienda non cinese a essere ancora coinvolta, possiede oggi un quarto delle quote. Lo stato guineano possiede il 15 per cento di ognuno dei quattro siti di estrazione della miniera, e la stessa quota nella ferrovia e nel porto, oltre che un diritto di veto sulle decisioni strategiche. Quasi tutto il resto è di proprietà cinese.



