Intanto, in Venezuela
La popolazione non sembra credere a una guerra con gli Stati Uniti, e Maduro invita tutti a «festeggiare»

Da settimane gli Stati Uniti stanno concentrando nel mar dei Caraibi portaerei, navi da guerra, soldati e jet militari: esiste la possibilità che i ripetuti bombardamenti di barche di presunti narcotrafficanti al largo delle coste del paese, che hanno ucciso almeno 80 persone, siano solo l’inizio di un’operazione militare più ampia da parte dell’amministrazione di Donald Trump. Reportage e testimonianze dalla capitale Caracas raccontano però che questa minaccia incombente non ha cambiato particolarmente la vita della popolazione venezuelana.
Fra scetticismo e rassegnazione, gli abitanti non sembrano credere troppo che una invasione statunitense sia imminente: le loro maggiori preoccupazioni restano le stesse degli ultimi anni, cioè le pessime condizioni economiche del paese. La prolungata crisi, che dura da oltre un decennio, ha causato già l’emigrazione di oltre otto milioni di venezuelani. Chi è rimasto (circa 28 milioni di persone) deve confrontarsi con una moneta locale molto debole, con un’inflazione molto alta e con la cronica mancanza di lavoro. Da 13 anni il Venezuela è governato in modo sempre più autoritario da Nicolás Maduro.

Murales a tema bellico a Caracas, l’11 novembre 2025 (AP Photo/Ariana Cubillos)
Al momento non ci sono le code ai distributori che sono solite formarsi in momenti di panico precedenti a grandi crisi. Anche in negozi e supermercati non c’è scarsità di beni, un po’ perché i venezuelani non stanno correndo a fare scorte, un po’ perché molti non hanno denaro sufficiente per farlo, se anche volessero. Il Fondo Monetario Internazionale stima l’inflazione su base annua al 270 per cento, con ipotesi di un ulteriore incremento superiore al 650 per cento per il 2026. I prezzi dei cibi sono raddoppiati rispetto all’anno scorso e per alcuni prodotti di elettronica, come un televisore, serve lo stipendio di un mese.
L’aumento delle sanzioni statunitensi negli ultimi mesi ha causato un ulteriore calo del valore del bolivar, la valuta locale. Esistono un cambio ufficiale e uno ufficioso: al primo un dollaro viene cambiato con 250 bolivar, al secondo con 370.

Un cambiavalute di strada a Caracas (AP Photo/Matias Delacroix)
In questo contesto è cominciata da oltre due mesi la stagione delle feste natalizie, che in Venezuela hanno un significato anche politico: a partire dal 2019 il regime di Maduro ha spesso puntato sul Natale come una sorta di diversivo, oltre che come uno stimolo dell’economia debole. Da anni anticipa sempre di più l’inizio del periodo delle feste, quando le piazze, gli uffici pubblici e i negozi vengono addobbati: quest’anno sono cominciate il 1° ottobre.
Maduro compare quasi quotidianamente in televisione o in comizi e alterna chiamate alla mobilitazione contro il possibile invasore ad accorati inviti a entrare nello “spirito delle feste”. Dopo aver ballato sul palco, lunedì ha detto: «Dovete festeggiare, festeggiare, festeggiare e ancora festeggiare, fino a quando il vostro corpo regge».
– Leggi anche: «No war, yes peace»
Nonostante i tentativi di distogliere l’attenzione pubblica, il governo sta prendendo delle misure per prepararsi a eventuali attacchi sul suo territorio: sono state movimentate truppe regolari e riservisti, l’esercito ha testato i sistemi antiaerei lungo la costa, da mesi è stato creato un corpo militare per i volontari civili molto pubblicizzato come “forza di resistenza”. Sui numeri e sull’efficacia di questo esercito popolare ci sono però molti dubbi: Maduro aveva parlato genericamente di milioni di soldati, un annuncio propagandistico e poco credibile, e si tratterebbe comunque di milizie poco addestrate.

Immagini di Nicolás Maduro a Caracas, nell’ottobre del 2025 (AP Photo/Ariana Cubillos)
Nel centro di Caracas, vicino ai palazzi governativi e istituzionali, le strutture di vigilanza, i posti di blocco e le barricate protettive sono aumentate. Secondo alcuni media internazionali presenti in Venezuela sono invece diminuite nelle zone residenziali della città, probabilmente perché il grosso degli uomini a disposizione è appunto impiegato altrove.
Non è invece diminuita la repressione del dissenso, favorita dal clima di tensione e dalla retorica della necessità di combattere una minaccia esterna. Le organizzazioni che si occupano di diritti umani dicono che in Venezuela ci sono più di 800 prigionieri politici e che nel mese di ottobre ne sono stati arrestati più di uno al giorno.
Il controllo della popolazione avviene attraverso una presenza capillare del Partito Socialista Unito del Venezuela (quello di Maduro): i suoi 47mila “jefes de calle”, delle specie di responsabili di quartiere, ufficialmente sono incaricati di distribuire cibo e bombole di gas per le cucine, ma in realtà sono un efficace strumento di controllo. Da qualche mese poi esiste la possibilità per tutti i cittadini di segnalare “attività sospette” con un’app promossa dal governo, VenApp, che era stata inizialmente pensata per la segnalazione di problemi nei servizi pubblici e nei trasporti.
In queste condizioni è difficile sapere cosa realmente pensi la popolazione, che nelle ultime elezioni del 2024 aveva votato in maggioranza per il candidato delle opposizioni, Edmundo González; Maduro si è poi autoproclamato vincitore comunque. Anche i sondaggi sono molto limitati e in parte condizionati. In uno dei più recenti, il 23 per cento degli intervistati ha detto che sosterrebbe un intervento militare di un paese estero (il 55 per cento vi si opporrebbe).



