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Urliamo per diversi motivi, non solo per paura, e c’è anche chi si dà appuntamento per farlo insieme

Urlare è umano. Succede in situazioni diverse e per motivi diversi, e anche in innumerevoli scene di film e serie tv di ogni genere. C’è chi urla per un’aggressione sotto la doccia e chi lo fa perché riceve una bella notizia, chi urla scagliandosi contro un nemico e chi da solo in macchina stringendo il volante tra le mani. Ugo Fantozzi, arrivato di notte al campeggio, dovette allontanarsi a sufficienza dai vicini di tenda per gridare belluinamente di dolore dopo una martellata sul pollice. Nel film danese del 2022 Speak No Evil c’è pure una coppia che urla all’unisono in una radura, solo per sfogare la frustrazione.
Ultimamente, nei paesi anglosassoni, è emersa una tendenza simile. Gruppi di persone più o meno numerosi si danno appuntamento per riunirsi e urlare insieme simultaneamente, ciascuno per le proprie ragioni, non importa quali. Servizi giornalistici e persino brevi guide suggeriscono i migliori posti in cui urlare a Los Angeles, Boston, Seattle e altre città degli Stati Uniti, e anche nel Regno Unito ci sono diversi club dell’“urlo all’aria aperta”.
Molte persone che partecipano a questi incontri dicono di trarre beneficio dal poter gridare liberamente, e alcune si commuovono anche e ringraziano gli organizzatori spiegando loro quanto ne avessero bisogno. Un urlo collettivo è anche alla base di una tradizione goliardica svedese diffusa tra studenti fuori sede: il flogsta scream, o elvavrålet, in svedese (“ruggito delle undici”). Prevede che gli studenti si affaccino di sera a una certa ora per urlare insieme da balconi e finestre, nei quartieri residenziali in cui alloggiano.
In effetti le occasioni e gli spazi in cui gridare è un comportamento normale e previsto non sono molti: uno di questi, forse il più noto, sono i concerti. Spesso sono proprio i musicisti dal palco a chiedere una partecipazione rumorosa del pubblico. Ma ce ne sono alcuni che seguono anche loro un approccio vagamente terapeutico, a volte.
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Nei concerti del suo tour più recente, per esempio, la cantautrice Olivia Rodrigo chiedeva a un certo punto alle persone del pubblico di pensare a qualcosa o a qualcuno che le facesse «incazzare» e di urlare tutte insieme a un suo segnale. C’è un urlo liberatorio anche nel trailer del disco più recente dei Florence + the Machine, Everybody Scream. La voce però non è della leader Florence Welch, che non è una cantante metal e temeva di non avere la formazione musicale adatta per urlare senza danneggiare le sue corde vocali (è doppiata da Arrow de Wilde, cantante della band punk Starcrawler).
Anche se le persone che frequentano i club dell’urlo dicono di sentirsi meglio dopo, non ci sono prove dell’efficacia terapeutica di gridare intenzionalmente, da soli o in gruppo. L’urlo fu anzi alla base di un criticato approccio terapeutico pseudoscientifico sviluppato negli anni Sessanta, che sosteneva di poter gestire e risolvere tramite l’urlo le sofferenze represse. Il che non significa che urlare non sia un modo di esprimere emozioni, anzi.

Un gruppo di tifosi della squadra di basket NCAA del Missouri durante una partita in casa contro Mississippi, a Columbia, il 2 marzo 2024 (AP Photo/L.G. Patterson)
Le vocalizzazioni umane non verbali sono un argomento di studi non molto comune, perché per lungo tempo la ricerca scientifica si è concentrata soprattutto sulla parola e sul linguaggio, considerati un tratto specificamente umano. Le urla hanno invece molto in comune con diversi segnali di altri mammiferi: un’idea largamente condivisa è che siano infatti associate all’avvertimento di un pericolo o a una richiesta di aiuto, e che quindi abbiano una funzione evolutivamente molto radicata.
Urlare dopo aver sbattuto il mignolo del piede contro uno spigolo, per esempio, è un modo immediato ed efficace di esprimere dolore. Ed è un modo fondamentale per chi non è ancora in grado di parlare, come i neonati e i bambini piccoli, perché per loro non c’è un modo di esprimere diversamente il dolore. Crescendo, gli esseri umani imparano anche a modulare le espressioni di questo tipo in funzione del contesto sociale, per attirare attenzioni o meno.
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Da uno studio molto citato del 2004, per esempio, emerse che tra alcuni adulti classificati dai ricercatori come «grandi catastrofisti» c’era una propensione a prolungare le espressioni non verbali di dolore in presenza di altre persone. A fronte dello stesso stimolo doloroso, la reazione durava di meno se non c’erano osservatori intorno. E questo confermò che uno dei possibili scopi delle urla umane sia comunicare un bisogno di aiuto o comunque sollecitare un determinato comportamento di gruppo.

Il calciatore francese Marcus Thuram subisce un fallo dal belga Jan Vertonghen durante gli ottavi di finale tra Francia e Belgio agli Europei a Düsseldorf, Germania, il 1° luglio 2024 (AP Photo/Andreea Alexandru)
In effetti le urla associate a un pericolo o a una richiesta di aiuto sono le prime che vengono in mente, ma ce ne sono altre che sono ancora più efficaci. Fu una delle scoperte sorprendenti fatte da un gruppo di ricerca dell’università di Zurigo in un ampio studio del 2021, che si concentrò su contesti d’uso delle urla umane perlopiù trascurati nella ricerca scientifica.
Il gruppo chiese a una decina di partecipanti di emettere un grido in una stanza insonorizzata immaginando di vivere diverse esperienze: un’aggressione subita in un vicolo buio, un tentativo di intimidire qualcuno, un’esperienza sessuale piacevole, la vittoria della propria squadra del cuore, e altro. Un limite dello studio è che le urla simulate tendono a essere più uniformi di quelle naturali, ma sono comunque piuttosto accurate, anche secondo altri studi. Il gruppo le registrò tutte e chiese poi ad altri gruppi di partecipanti di ascoltarle.

Il pubblico del New Orleans Jazz & Heritage Festival durante un concerto dei My Morning Jacket a New Orleans, il 4 maggio 2025 (AP Photo/Gerald Herbert)
Sulla base delle caratteristiche acustiche delle urla i ricercatori le distinsero in sei tipi differenti: dolore, rabbia, paura, gioia, piacere e tristezza. Un risultato che trovarono sorprendente è che, analizzando anche alcune risonanze magnetiche funzionali eseguite durante l’ascolto, i partecipanti riconoscevano più facilmente le urla di gioia, di piacere e di tristezza rispetto alle altre. In altre parole, le persone erano più sensibili ai segnali non allarmanti, soprattutto alle urla di gioia. E questo contraddice l’ipotesi comune che negli umani, come in altre specie, l’attenzione alle possibili minacce abbia priorità su quella verso altri stimoli.
Non è chiaro perché le urla di gioia, secondo i risultati dello studio del 2021, suscitino maggiori attenzioni. L’ipotesi suggerita dagli autori e dalle autrici è che la capacità umana di rispondere alle emozioni positive sia influenzata da ambienti sociali complessi, in cui quelle emozioni sono più rilevanti per le interazioni rispetto alla semplice capacità di dare l’allarme. Ed è possibile che esprimere piacere, anche urlando, sia importante per la sopravvivenza quanto evitare un pericolo.
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