Film da urlo

È un ingrediente del cinema fin dai tempi del muto e ha una sua storia con tante piccole storie dentro: un po' di curiosità

Non si sa per certo dove e quando – e guardando quale film – i primi spettatori sentirono con le loro orecchie il primo urlo cinematografico. Uno dei primi a farsi notare fu senza dubbio in Gli angeli dell’inferno di Howard Hughes, del 1930. Nel film c’è un aereo che sta precipitando e, comprensibilmente, un pilota che urla. Fece probabilmente una grande impressione a molti e, nella sua recensione, un critico di Variety definì quell’urlo «troppo crudo» e «oltremodo raccapricciante». Con il passare del tempo, film dopo film, critici e spettatori si abituarono alla cosa. Ma non del tutto: ancora oggi, infatti, le urla dei film – soprattutto quelle di paura, negli horror – fanno un certo effetto. Perché sono qualcosa di improvviso, potente e viscerale.

Nel cinema, però, le urla esistevano già da prima del sonoro: non per niente, infatti, l’urlo più famoso di tutti – sebbene sia percepito e non eseguito – è in un dipinto. Le prime celebri urla cinematografiche – esasperate, come molte cose del cinema muto, che aveva bisogno di compensare con una marcata recitazione l’assenza nel sonoro – sono degli anni Venti del secolo scorso: in film dell’orrore come Il gabinetto del dottor Caligari, Nosferatu il vampiro o Il fantasma dell’Opera.


Tralasciando l’urlo di Tarzan (non propriamente un urlo di paura), già nel 1933 arrivarono quelle che ancora oggi sono tra le urla più ricordate della storia del cinema: le fece, per diversi minuti nell’arco dell’intero film, Fay Wray, la bionda minacciata dal gorilla King Kong.


Per diversi decenni, le urla di paura e di terrore dei film restarono perlopiù urla femminili, al punto che per designare tutta una serie di attrici si parla di “scream queens“, regine dell’urlo. Un gioco di parole che in inglese viene meglio, perché suona molto simile a “screen queens”, regine dello schermo. Urlò – accompagnata da viole, violini e violoncelli – Janet Leigh in Psyco (tra l’altro tratto da un romanzo che in Italia era arrivato con il titolo Il passato che urla), urlò Susan Backlinie nello Squalo, e hanno urlato – tra le tante altre – Jamie Lee Curtis in Halloween, Shelley Duvall in Shining, Heather Langenkamp in Nightmare – Dal profondo della notte e Drew Barrymore in Scream (il cui titolo originale, per l’Italia, era Scream – Chi urla muore).


Nella lunga lista di urla cinematografiche, con il tempo, e non solo negli horror, ci sono anche gli attori: come Donald Sutherland nell’Invasione degli ultracorpi o James Caan in Misery non deve morire.


Ci sono anche film in cui le urla sono al centro della trama: come in L’australiano (titolo originale: The Shout, il grido) del 1978, in cui un grido uccide tutti quelli che lo sentono; o come in Blow Out di Brian de Palma, in cui il protagonista è un tecnico del suono alla ricerca dell’urlo perfetto per un B-movie di genere horror.


Ma l’urlo più famoso dell’intera storia del cinema è senza dubbio quello di Wilhelm, che è praticamente impossibile non aver mai sentito, visto che sta in centinaia di film. Come succede molto spesso l’urlo di Wilhelm – a chi sia questo Wilhelm ci arriviamo tra un attimo – fu registrato nei primi anni Cinquanta, insieme ad altre urla, durante la post-produzione del western Tamburi lontani, per diventare il suono che fa un uomo che viene morso da un coccodrillo.


Quello stesso suono fu poi riutilizzato anche nel western del 1953 L’indiana bianca, dove a farlo è il povero Wilhelm, un personaggio che viene colpito da una freccia.


Anni dopo – quando il suono era stato ripreso da vari film – alcuni studenti di montaggio sonoro lo notarono in più film e ci si appassionarono, e uno di loro, Ben Burtt, andò a ripescarlo quando fu chiamato a lavorare a Guerre stellari e lo mise in bocca a un po’ di Stormtrooper morenti (come noto, gli Stormtrooper tendono a morire sovente e con relativa facilità).

Dopo Guerre Stellari, quello che da allora divenne noto come l’urlo di Wilhelm – e di cui non è del tutto certo l’autore – finì un po’ dappertutto: per scherzo e per tradizione, non perché fosse particolarmente migliore di altri. Pare per esempio che Quentin Tarantino – uno che delle tradizioni del cinema si cura molto – ne scoprì l’esistenza lavorando a Le Iene e poi lo fece mettere anche in Kill Bill e in Bastardi senza gloria, all’interno del film-nel-film Orgoglio della nazione, sul soldato nazista Friedrich Zoller.


Talvolta, ancora oggi l’urlo di Wilhelm si sente in altri film. Le altre urla, invece, possono nascere in due modi diversi. In certi casi si chiede ad attori e attrici che siano loro a fare le urla per il loro personaggio. Eli Roth – regista di Hostel – ha raccontato al New York Times che la sua tecnica, per ottenere un urlo come si deve, è dire a chi recita di concentrarsi per un urlo da buona-la-prima, per concentrare in un solo urlo tutte le energie possibili: «Se sanno di poter dare tutto senza doverlo rifare subito dopo» ha detto Roth «ti danno l’urlo che desideri». Anche perché, per gli attori – che con la voce ci lavorano – può creare problemi urlare troppo o troppo spesso; e per i membri della troupe non dev’essere piacevole sentire un urlo dietro l’altro. Roth ha aggiunto inoltre che dopo una scena con un urlo è sua abitudine dare una giornata di “riposo vocale” ad attori e attrici.

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Ma non tutti i personaggi urlano con la voce di chi li interpreta: perché in post-produzione c’è più controllo su cosa fare e anche perché, come ha fatto notare il New York Times, «nessuno se la sente di chiedere a Ryan Reynolds o Scarlett Johansson di urlare allo sfinimento per dieci minuti».

Esistono quindi, quantomeno a Hollywood, persone che di lavoro (o come parte di un loro lavoro che ha comunque a che fare con la voce) urlano. Una di loro è Ashley Peldon. Per chi sta pensando che sia un bel lavoro, forse è il caso di dire subito che, oltre a essere faticoso – emotivamente ma anche proprio fisicamente – è anche strambo. Come ha raccontato al New York Times, per esempio, c’è stata una volta in cui Peldon ha dovuto interpretare una «piccola capra posseduta dal demonio». Ma ha aggiunto che una delle cose più difficili che le sia capitato di fare è stato dover interpretare (urlando) il ruolo di una donna che veniva bruciata sul rogo.

Peldon ha spiegato di essere specializzata nelle urla di rabbia, ma di averne fatte spesso anche di paura, di dolore e di altro tipo. La prima fu nel 1992, da ragazza, per il film per la tv Child of Rage e ora, oltre a essere nota come una delle urlatrici più rumorose, si sta facendo apprezzare anche per altri suoni, per esempio quelli di chi respira affannosamente o corre (non necessariamente perché inseguita da un serial killer). Peldon ha aggiunto anche che quando non è al lavoro dovrebbe, per preservare la voce, non superare mai i 65 decibel; tuttavia ha ammesso che «avendo due figli» la cosa le riesce difficile. A proposito della tecnica usata, si è limitata a dire che cerca di contrarre gli addominali, anche spingendo con la mano, per far uscire più aria possibile mentre urla.

Altre volte ancora, le urla arrivano da suoni presenti in database o realizzati mettendo insieme suoni diversi, non necessariamente umani. Sempre parlando con il New York Times, Graham Reznick – un tecnico del suono specializzato in film horror – ha detto: «Tante volte le urla sono frankensteinizzate partendo da quattro o cinque voci diverse» e ha aggiunto «Io una volta ho contribuito con la mia voce ai gorgoglii che fa in fin di vita un personaggio di John Travolta». Per i suoni fatti da certi mostri o certe creature, invece capita di ricorrere – sempre aggiungendo poi diversi elementi – anche agli animali, per esempio a maiali o cavalli.