Come furono trasportati i faccioni dell’isola di Pasqua?

Una nuova ricerca ha rispolverato una teoria molto discussa: furono fatti "camminare" facendoli dondolare su loro stessi con le corde

Moai a Rapa Nui (Micheline Pelletier/Corbis via Getty Images)
Moai a Rapa Nui (Micheline Pelletier/Corbis via Getty Images)
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Da secoli decine di facce enormi di pietra scrutano l’oceano Pacifico meridionale e l’entroterra su una piccola isola a circa 3.600 chilometri dalle coste del Cile. Sono i “moai”, l’elemento più caratteristico di Rapa Nui (Isola di Pasqua) e uno dei suoi più grandi misteri. Alti fino a 10 metri, pesano fino a 86 tonnellate e ancora oggi nessuno sa di preciso come furono trasportati ed eretti dalla cava in cui furono realizzati alle tante postazioni che costellano l’isola. Una nuova ricerca ha rispolverato una vecchia teoria: i moai furono fatti camminare eretti facendoli dondolare su loro stessi. Ma non tutti gli archeologi sono convinti.

A Rapa Nui i moai furono costruiti e collocati in varie zone dell’isola tra il tredicesimo e il diciottesimo secolo, ottenendo il materiale da una cava del cratere vulcanico estinto di Rano Raraku. Nel corso degli anni sono stati scoperti circa 950 monoliti, orientati verso i villaggi o con la faccia rivolta verso l’oceano, in questo caso allineati in modo che osservassero il tramonto durante gli equinozi. Si ipotizza che i moai fossero una rappresentazione degli antenati della popolazione dell’isola e che fossero usati anche come riferimenti per osservare il cielo notturno. La loro funzione è ancora dibattuta, così come il modo in cui furono trasportati con le strumentazioni rudimentali a disposizione degli abitanti dell’isola.

Di recente, gli antropologi statunitensi Carl Lipo (Università di Binghamton) e Terry Hunt (Università dell’Arizona) hanno pubblicato sul Journal of Archaeological Science la dimostrazione di una tecnica discussa da tempo per il trasporto dei moai e che i due avevano sperimentato per la prima volta quasi 15 anni fa.

All’epoca avevano coinvolto 18 volontari per dimostrare la possibilità di far muovere la replica di un moai di quasi 4,5 tonnellate utilizzando semplicemente delle corde, collocate sulla testa del monolite per farlo oscillare da una parte e l’altra, facendolo avanzare lentamente lungo il percorso. La tecnica non è molto diversa da quella che si usa quando si deve spostare un mobile o un elettrodomestico pesante in casa (per quanto senza le corde), facendolo dondolare per farne avanzare lievemente un lato alla volta.

La tecnica di dondolamento dei moai con le corde (C. Lipo e T. Hunt et al.)

L’esperimento fu a suo modo un successo. I due ricercatori insieme ai volontari erano infatti riusciti a far spostare di 100 metri la replica del moai in appena 40 minuti. La tecnica sembrava promettente, considerato che alcuni di questi monoliti a Rapa Nui si trovano a una distanza di oltre 17 chilometri dalla cava in cui furono costruiti. Circa quarant’anni fa, un altro gruppo di ricerca aveva ottenuto un risultato simile con la medesima tecnica, ma il loro test aveva ricevuto diverse critiche perché non rappresentava bene le condizioni in cui gli abitanti dell’isola avrebbero spostato i loro monoliti.

Lipo e Hunt hanno lavorato per anni alla loro teoria, studiando la forma dei moai, le loro masse e il loro baricentro, in modo da provare a capire se fossero costruiti in questo modo anche per facilitare il trasporto con le corde. Nell’articolo spiegano di avere studiato le decine di monoliti che si trovano stesi al suolo e che, secondo alcune ipotesi, furono abbandonati lungo la strada dopo essere caduti nel trasporto diventando irrecuperabili. La loro analisi ha permesso di capire meglio la conformazione della base dei moai, visto che quelli eretti sono in buona parte infossati nel terreno. I due antropologi ipotizzano inoltre che le strade stesse a Rapa Nui venissero costruite per trasportare i moai verso la loro destinazione.

Tecniche di trasporto dei moai a confronto e studio del baricentro dei monoliti (C. Lipo e T. Hunt, Journal of Archaeological Science, 2025)

La questione dei monoliti stesi al suolo è però discussa da tempo e non c’è un consenso scientifico. Secondo alcuni gruppi di ricerca le crepe nella pietra non si formarono in seguito alla loro caduta, ma si svilupparono nel tempo probabilmente a causa degli eventi atmosferici. È possibile che anticamente le statue fossero erette lungo quei percorsi e che caddero poi col tempo, trovandosi su terreni meno stabili rispetto a quelli che ospitano i moai ancora in piedi.

La nuova teoria sullo spostamento dei monoliti si scontra con quella altrettanto discussa del trasporto al suolo dei moai, reso possibile dall’utilizzo di strutture in legno che venivano utilizzate come slitte per trascinare le statue facendole scorrere su dei tronchi. Una volta a destinazione, le stesse strutture sarebbero state impiegate per issare i moai e assicurarli nelle loro buche scavate nel suolo. Questo metodo fu sperimentato con successo nel 1998 da una iniziativa di ricerca, che il prossimo anno pubblicherà un atteso studio storico su Rapa Nui e sulla sua popolazione, prima dell’arrivo degli europei all’inizio del Settecento.

Al di là della teoria delle corde, negli ultimi decenni Lipo e Hunt hanno avuto un ruolo molto importante nel ricostruire la storia di Rapa Nui. Lo scorso anno sono stati tra gli autori di un’altra discussa ricerca, che ha provato a smontare l’ipotesi che sull’isola fu commesso un “ecocidio” dagli isolani, che avrebbero sfruttato a fondo le risorse dell’isola, abbattendo tutti gli alberi (anche per trasportare i moai) ed esaurendo le risorse del suolo, al punto da patire carestie che decimarono la popolazione portandola da 25mila a poche migliaia. Lo studio del 2024 utilizzò immagini satellitari per ricostruire le aree anticamente coltivate, arrivando alla conclusione che sull’isola vivessero da sempre molte meno persone, che avevano raggiunto un livello di sostenibilità che fu poi turbato dall’arrivo degli europei.