Perché la destra ha rimandato la discussione della legge su violenza sessuale e consenso

Formalmente per una questione tecnica: in realtà la Lega ha voluto fare uno sgarbo a Giorgia Meloni

La manifestazione di Non Una Di Meno a Roma, 22 novembre 2025 (ANSA/MASSIMO PERCOSSI)
La manifestazione di Non Una Di Meno a Roma, 22 novembre 2025 (ANSA/MASSIMO PERCOSSI)
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Martedì 25 novembre era in programma in Senato l’inizio della discussione sulla proposta di legge che modifica il reato di violenza sessuale, introducendo nel codice penale il concetto di consenso. Trattare e cercare di approvare la norma in Senato proprio il 25 novembre, in occasione della Giornata internazionale per l’eliminazione della violenza contro le donne, era una scelta simbolica. Tuttavia poco prima dell’inizio dei lavori la coalizione di destra in commissione Giustizia, chiamata a dare un parere favorevole sulla norma, ha deciso di rinviare l’approvazione del testo.

Il rinvio è stato chiesto per prima dalla Lega, che poi è stata seguita da Fratelli d’Italia e Forza Italia (a capo della commissione Giustizia c’è una senatrice della Lega, Giulia Bongiorno). Formalmente il motivo ha a che fare con alcuni dubbi su una parte specifica dell’emendamento che modificherebbe l’articolo 609-bis del codice penale, quello appunto sul reato di violenza sessuale: i partiti di maggioranza hanno detto di essere in disaccordo in particolare con l’ultimo comma, in cui si dice che «nei casi di minore gravità la pena è diminuita in misura non eccedente ai due terzi».

In realtà dietro a questo rinvio ci sono ragioni politiche: la Lega ha deciso di non dare la propria approvazione senza consultare i partiti alleati, che poi hanno dovuto seguirla per evitare di mostrare spaccature all’interno della maggioranza, sebbene non fossero d’accordo. In tutto questo c’entra il risultato delle ultime elezioni regionali in Puglia, Campania e Veneto, in cui Fratelli d’Italia – cioè il principale partito di maggioranza – è andato un po’ al di sotto delle aspettative: in Veneto in particolare la Lega ha preso il doppio dei consensi di FdI (ribaltando i rapporti di forza rispetto alle ultime elezioni europee), e anche rinvigorito da questo risultato il suo leader Matteo Salvini ha approfittato di questa occasione per rimarcare il peso del suo partito nella coalizione.

Per la Lega è anche una questione di posizionamento politico. Ormai da tempo è il partito della maggioranza più a destra, quello che prende le posizioni conservatrici più estreme su quasi tutti i temi. Sulla legge che introduce il concetto di consenso nel codice penale ci sono da giorni opinioni molto contrarie tra i commentatori più in vista della destra e sui giornali di quell’area politica, ed è molto probabile che la Lega e Salvini ne siano stati influenzati e abbiano voluto ancora una volta rivendicare il ruolo di partito più estremo della maggioranza.

La norma sul consenso era stata approvata grazie a un inusuale accordo bipartisan tra la destra e il centrosinistra, che aveva richiesto un dialogo tra la presidente del Consiglio Giorgia Meloni e la segretaria del Partito Democratico Elly Schlein. Su quell’accordo Meloni aveva agito abbastanza da sola, imponendo la linea agli alleati di governo: ora la Lega ha mostrato internamente che anche una decisione del genere di Meloni può essere messa in discussione. Anche se pubblicamente non ce ne sono state tracce, Meloni non ha preso bene l’iniziativa della Lega.

L’emendamento approvato dieci giorni fa alla Camera diceva in sostanza che chiunque compie o fa compiere atti sessuali «senza il consenso libero e attuale» dell’altra persona può essere punito con la reclusione da sei a dodici anni: è una modifica molto importante, perché inserisce per la prima volta il concetto di consenso nel codice penale italiano come fattore per distinguere quando un atto sessuale è violenza.

Oggi in Italia la condotta tipica di violenza sessuale si verifica quando una persona «con violenza o minaccia o mediante l’abuso di autorità» ne costringa un’altra «a compiere o a subire atti sessuali». L’attuale modello del codice penale italiano può essere definito un “modello vincolato”: il presupposto dei reati sessuali è la costrizione, cioè il contrasto tra la volontà di chi commette il reato e di chi lo subisce. Non attribuisce dunque in modo esplicito un ruolo centrale al consenso, ma si basa sull’idea che le aggressioni sessuali, per essere perseguite e punite, debbano avere certe caratteristiche: violenza, minaccia, costrizione. Questo modello è problematico perché le aggressioni sessuali avvenute senza metodi violenti o minacciosi non vengono ritenute tali.

Concretamente, con il rinvio della norma si è deciso di invitare in commissione Giustizia al Senato alcuni esperti della materia per dare il proprio parere, con un rapido ciclo di audizioni. Per il momento quindi l’approvazione della legge è stata bloccata, e rinviata di almeno qualche settimana. In segno di protesta i politici dei partiti di opposizione sono usciti dall’aula.

Nel tardo pomeriggio di martedì Schlein ha detto di aver sentito Meloni chiedendole di rispettare gli accordi, come ha fatto lei votando la legge voluta dal governo che rende reato il femminicidio. Non ha reso noto cosa le abbia risposto Meloni, ha solo aggiunto che auspica «che anche la presidente del Consiglio […] faccia rispettare gli accordi».