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  • Venerdì 14 novembre 2025

Anche la COP30 è piena di lobbisti dei combustibili fossili

Sono più dei delegati dei 10 paesi più vulnerabili agli effetti del cambiamento climatico, in proporzione più di quanti erano a Baku e Dubai

Partecipanti alla COP30 di Belem, in Brasile, 10 novembre 2025 (Credit Image: © Bianca Otero/ZUMA Press Wire)
Partecipanti alla COP30 di Belem, in Brasile, 10 novembre 2025 (Credit Image: © Bianca Otero/ZUMA Press Wire)
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Anche quest’anno alla Conferenza delle Nazioni Unite sul clima, iniziata in Brasile lunedì, c’è una categoria che è più rappresentata di altre: quella dei lobbisti dei combustibili fossili. La coalizione Kick Big Polluters Out (KBPO), che riunisce centinaia di organizzazioni che chiedono la loro esclusione dai processi decisionali sul clima, ha contato 1.602 partecipanti legati al settore, cioè 1 su 25. È un numero considerevole soprattutto se si pensa che è superiore di alcune centinaia al totale dei delegati dei dieci paesi più vulnerabili al cambiamento climatico.

Non è un tema nuovo. Le COP, cioè “Conference of parties”, sono conferenze annuali che dal 1995 riuniscono i rappresentanti di quasi tutti i paesi del mondo. Servono a discutere e stabilire politiche e traguardi comuni contro il cambiamento climatico; anche se le decisioni che vengono prese qui non sono vincolanti per gli stati che partecipano, le COP sono considerate l’occasione più importante per raggiungere gli obiettivi che vennero stabiliti a Parigi nel 2015: mantenere cioè la temperatura media globale al di sotto di 1,5°C rispetto ai livelli preindustriali, e non superare i 2°C, un traguardo che secondo le previsioni siamo lontani dal raggiungere.

Proprio per la loro rilevanza però le COP attirano ogni anno anche i rappresentanti del comparto industriale, e soprattutto delle grosse aziende energetiche. Considerato il loro ruolo, molti ritengono inevitabile il loro coinvolgimento nella definizione delle politiche per una transizione energetica verso un sistema a minori emissioni; tuttavia le organizzazioni ambientaliste hanno denunciato come la partecipazione di persone vincolate in vari modi alle aziende del settore dei combustibili fossili possa influenzare negativamente le politiche sul clima, rendendole infine meno ambiziose.

Accreditandosi alle COP, i lobbisti possono partecipare ai tavoli di discussione, coltivare i rapporti, incontrare i delegati degli altri paesi e garantirsi agganci con i loro governi. Scambiandosi informazioni, possono per esempio influenzarli a limitare i target di riduzione delle emissioni, o per posticiparli nel tempo, garantendosi maggiori guadagni. Non sono gli unici a farlo: alla conferenze dell’ONU sono presenti anche lobbisti di altro tipo (rappresentanti di aziende di altri settori, think tank e associazioni ambientaliste). Tuttavia i primi rappresentano comparti industriali e produttivi che hanno un impatto sulle economie nazionali maggiore di altri, e quindi anche maggior peso politico. È inoltre risaputo che le grandi aziende dei combustibili fossili in passato provarono a rallentare l’azione contro il cambiamento climatico in vari modi, attraverso attività di lobbying ma anche campagne di disinformazione e altri strumenti di pressione.

Nonostante questo problema sia denunciato da tempo, secondo KBPO alla COP30 di Belem di quest’anno il numero dei lobbisti dei combustibili fossili è in proporzione superiore a quello dell’anno scorso a Baku, in Azerbaijan, e di quello ancora precedente di Dubai, negli Emirati Arabi Uniti, dove in termini assoluti era stato il più alto di sempre.

– Leggi anche: Cosa aspettarsi dalla COP30 di Belém

Una manifestazione di un gruppo di persone indigene contro la COP30 di Belem, il 14 novembre 2025: il governo brasiliano è stato molto criticato quest’anno per alcune scelte giudicate in contraddizione con gli obiettivi della conferenza. (AP Photo/Fernando Llano)

I lobbisti dei combustibili fossili arrivano alle conferenze soprattutto in due modi (è possibile saperlo perché l’agenzia ONU che le organizza pubblica la lista completa delle persone registrate, indicando la loro affiliazione). Per avere accesso alle conferenze internazionali sul clima serve accreditarsi indicando il proprio legame con un paese o un’organizzazione. Possono partecipare membri di ong e associazioni di vario genere, oltre che i rappresentanti degli stati (politici, consulenti ed esperti) e i giornalisti. In base alla propria provenienza è possibile partecipare a tutti gli incontri, compresi quelli più importanti e ristretti, oppure soltanto alle plenarie. Alcuni partecipanti hanno potere negoziale, altri no.

Dato che ciascun governo può scegliere di portare con sé un numero indefinito di persone, a vario titolo, il primo modo con cui i lobbisti dei combustibili fossili entrano alle COP è infilandosi nelle delegazioni dei singoli paesi. Questa strada tecnicamente si chiama party overflow: sono cioè gli invitati “in eccesso” rispetto ai delegati veri e propri, quelli che possono negoziare a nome degli stati. Secondo KBPO questa è la strada che permette l’ingresso della maggior parte di loro: quest’anno per esempio sono stati 600 su 1.600.

L’Italia, secondo un’analisi di KBPO insieme a Fossil Free Politics, a Belem ha chiesto di portare con sé 12 delegati riconducibili in vari modi al settore dei combustibili fossili, su un totale di 154 rappresentanti overflow. Tra loro ci sono rappresentanti di Confindustria, la principale associazione che tutela a degli interessi delle imprese, ma anche Edison, Enel e Acea, società del settore energetico. Accreditato come rappresentante di una fondazione per lo sviluppo sostenibile della città di Venezia, l’Italia ha invitato anche il general manager di SNAM, tra i principali operatori nel settore delle infrastrutture energetiche.

Tra i paesi dell’Unione europea, l’Italia è quello che ha portato il numero più alto di lobbisti di combustibili fossili a Belem, insieme alla Francia (22) e alla Svezia (18). Nove stati membri dell’Unione europea hanno portato in totale 80 lobbisti tra le proprie delegazioni, ma per la prima volta quest’anno la Commissione (il principale organo esecutivo dell’UE, che è rappresentato al pari di uno stato) non ne ha portato nessuno. La Cina, il paese che produce in assoluto più emissioni di gas serra, ne ha portati 124 su un totale di 675 overflow.

Il secondo modo per entrare alla COP30 è affiliandosi a un’associazione di categoria, quelle cioè che rappresentano le aziende di un determinato settore. Una tra le più comuni per quello dei combustibili fossili è l’International Emissions Trading Association (IETA), che rappresenta le aziende interessate ai mercati di quote di emissioni di gas serra (i cosiddetti “crediti di carbonio”). Dentro ci sono anche persone vincolate agli interessi delle principali aziende petrolifere del mondo, come ExxonMobil, BP e TotalEnergies. Un’altra è per esempio la Camera di commercio internazionale.

– Leggi anche: Quando raggiungeremo il picco dei combustibili fossili?