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  • Giovedì 13 novembre 2025

Il giorno in cui morì Eddie Guerrero

Vent'anni fa, quando il wrestling era molto popolare in Italia, anche e soprattutto grazie al suo carisma

di Giuseppe Luca Scaffidi

Eddie Guerrero (John Shearer/Getty)
Eddie Guerrero (John Shearer/Getty)
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Quando Eddie Guerrero fu trovato morto in una stanza d’hotel di Minneapolis da suo nipote Chavo, il 13 novembre di vent’anni fa, il wrestling stava vivendo una fase di enorme popolarità in Italia. I volti dei lottatori più famosi della WWE, la federazione di maggior prestigio e seguito al mondo, erano un po’ ovunque: affollavano edicole e negozi di giocattoli, e venivano stampati su magliette, zaini, carte collezionabili e articoli da cancelleria.

Questo successo era dovuto al fatto che Italia 1, una delle reti in chiaro di Mediaset, trasmetteva SmackDown!, uno dei due programmi più importanti della WWE. Non solo: lo mandava in onda in prima serata, ottenendo risultati d’ascolto formidabili, resi possibili anche dalla scarsa concorrenza, dato che all’epoca l’offerta di intrattenimento era decisamente più blanda e meno diversificata rispetto a oggi.

Anche per questo motivo ai tempi la morte di Eddie Guerrero (a causa di un’ischemia) fu ampiamente ripresa e commentata da tutti i mezzi d’informazione. Il servizio più ricordato è quello del TG5, che ne diede notizia con toni enfatici e appassionati: «Questa volta, nessuna finzione dal mondo del wrestling, ma pura realtà: il campione mondiale Eddie Guerrero abbandona la sua battaglia più importante, quella con la vita».

Quando Eddie Guerrero morì, la WWE era nel pieno di una fase di rinnovamento. Si erano da poco ritirati Stone Cold Steve Austin e The Rock, i due wrestler maggiormente rappresentativi della cosiddetta attitude era, il nome con cui viene indicata la caratterizzazione violenta, sboccata e disinibita che aveva definito la federazione negli anni Novanta. Al loro posto si stava affermando una nuova generazione di lottatori, che riuscì ad attirare le simpatie del pubblico anche grazie ad alcune efficaci trovate dei booker, gli sceneggiatori della WWE che si occupano di definire ogni aspetto della caratterizzazione dei lottatori, dal loro modo di vestire al loro allineamento morale.

A SmackDown! si stava facendo notare John Cena, uno spavaldo e muscoloso ragazzo proveniente da Boston che, nella finzione narrativa del wrestling, alternava gli impegni sul ring alla carriera da rapper. Il cattivo di punta era invece JBL (John Bradshaw Layfield), uno spregiudicato miliardario texano che diceva di aver fatto fortuna grazie all’inaspettato successo di un libro di consigli sugli investimenti finanziari, e che sapeva attirare le antipatie del pubblico improvvisando sermoni molto ostili nei confronti delle persone che non erano ricche come lui e degli immigrati che arrivavano illegalmente negli Stati Uniti.

Guerrero invece era un personaggio un po’ diverso e difficile da inquadrare, anche perché la sua connotazione morale riusciva a sfuggire al rigido manicheismo con cui venivano scritte le rivalità tra lottatori in quegli anni, che prevedevano quasi sempre un buono da applaudire e un cattivo da fischiare.

Il motto che sfilava sulle sue magliette era «I lie, I cheat, I steal» («Mento, imbroglio e rubo»), e Guerrero non perdeva occasione per tenervi fede. Non vinceva quasi mai un incontro senza ricorrere a uno dei suoi molti espedienti truffaldini.

Il campionario era molto vasto, ma tra questi il più famoso era il cosiddetto “chair trick”: in sostanza, consisteva nell’approfittare della distrazione dell’arbitro per scendere dal ring, afferrare una sedia, tornare sul quadrato e lanciarla tra le braccia dell’ignaro avversario, per poi lasciarsi cadere a terra. Quando l’arbitro si voltava, vedeva la scena e squalificava il malcapitato; a quel punto Guerrero tornava improvvisamente in piena forma, e se ne andava via sorridendo beffardamente. Ancora oggi, quando un lottatore vuole omaggiarlo durante un incontro, imita spesso quella posa: l’ultimo è stato John Cena, qualche giorno fa.

Nonostante la sua tendenza a vincere in modi scorretti, che in teoria avrebbe dovuto posizionarlo come heel (cioè cattivo), Eddie Guerrero riusciva a farsi amare trasversalmente dal pubblico grazie al suo carisma, alle sue formidabili doti comiche e alla capacità di identificarsi con la comunità dei latinos, di cui divenne una specie di idolo.

Entrava sul ring a bordo di una lowrider, le tipiche auto con sospensioni idrauliche in grado di “saltare”, simbolo della cultura chicana, la popolazione di origine messicana residente negli Stati Uniti. Per rafforzare il suo legame con quella comunità aveva coniato un motto che diventò famosissimo anche in Italia: «Viva la Raza!».

Ma Guerrero era anche un lottatore spettacolare da vedere: era figlio di Gory Guerrero, uno dei pionieri della lucha libre messicana, e lo stile di combattimento che inscenava sul ring era molto versatile. Alternava sottomissioni, proiezioni e manovre acrobatiche, e selezionava le mosse che eseguiva con grande cura, per renderle immediatamente riconoscibili.

Chiudeva spesso gli incontri con la Frog Splash, un salto dalla terza corda in cui si lanciava in aria arcuando il corpo e atterrando di petto sull’avversario. Ma prima eseguiva sempre i cosiddetti “3 amigos”, una sequenza di tre suplex (proiezioni sopra la testa) che generava un entusiasmo enorme nel pubblico, che lo accompagnava nel conteggio urlando a squarciagola.

Il grande trasporto che Eddie Guerrero riusciva a generare nel pubblico rese la vita difficile agli sceneggiatori, che più volte cercarono invano di cucirgli addosso una caratterizzazione che risultasse davvero malvagia.

Non ci riuscirono neppure coinvolgendolo in una rivalità estremamente controversa con Rey Mysterio, suo amico di lunga data e uno dei luchador più amati al mondo. Nella finzione narrativa Eddie sosteneva di essere il vero padre di suo figlio Dominik, tormentando Rey con il celebre «I’m your papi!», che fece rapidamente il giro e divenne un tormentone tra i fan. La faida culminò addirittura in un match per la custodia del bambino, con in palio i documenti di affido: vinse Rey Mysterio, ma Guerrero (come prevedibile) continuò a essere applaudito da una parte consistente del pubblico.

In Italia la popolarità di Guerrero raggiunse livelli persino superiori a quelli ottenuti negli Stati Uniti. Il merito fu anche dello stile di conduzione anarchico e molto personale dei due presentatori che condussero SmackDown! in quegli anni, Giacomo “Ciccio” Valenti e Christian Recalcati.

A differenza di quanto accadeva negli altri paesi, in cui i conduttori seguivano in maniera pedissequa le storie proposte dalla federazione, Valenti e Recalcati erano soliti concedersi molte licenze narrative.

Non traducevano fedelmente i dialoghi, ricorrevano spesso all’improvvisazione e affibbiavano ai lottatori dei nomignoli casuali, in molti casi legati alla cultura pop italiana che andava per la maggiore in quegli anni. Capitava così che, nelle loro telecronache, Booker T diventasse “Taribo West”, per via della sua presunta somiglianza con il difensore nigeriano dell’Inter, mentre gli MNM, duo di lottatori composto da Joey Mercury e Johnny Nitro, diventavano “unto e bisunto” a causa della loro tendenza ad abusare di gel e altri prodotti per capelli. JBL invece veniva etichettato come “Cornutone”, un nomignolo derivato dalle corna di toro montate sulla griglia frontale della sua lussuosa limousine texana.

Nel periodo in cui Recalcati e Valenti commentarono SmackDown! in prima serata, Eddie Guerrero era uno dei personaggi di punta della federazione, e JBL uno dei suoi principali rivali, anche perché le origini messicane di Guerrero erano perfette da contrapporre a un miliardario un po’ xenofobo che si vantava di voler espellere gli immigrati al confine col Texas. Le continue ruberie di Guerrero, peraltro, offrivano l’occasione ideale per esaltare la telecronaca della coppia, che le raccontava ogni volta con grande trasporto.

La morte di Guerrero ebbe particolare risonanza anche perché il wrestler aveva abusato per anni di droghe e, come nel caso di molti altri colleghi del periodo, antidolorifici e steroidi anabolizzanti, fattori che contribuirono al deterioramento della sua salute e che con ogni probabilità aggravarono la condizione cardiaca alla base dell’ischemia che ne provocò la morte.

Soprattutto da quel momento, il wrestling fu molto criticato. In Italia l’associazione di diritti dei consumatori Codacons avviò una specie di campagna di demonizzazione della disciplina, chiedendo di eliminarla dai palinsesti televisivi delle reti in chiaro. Cosa che in effetti sarebbe avvenuta un paio d’anni dopo come conseguenza della morte di un altro wrestler, il canadese Chris Benoit, che si suicidò dopo avere ucciso la sua famiglia.

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