Cosa fu la guerra in Darfur
Si riparla di quella di vent'anni fa per i massacri di civili in corso oggi: i crimini di guerra furono simili, e anche gli autori sono gli stessi

I miliziani delle Rapid Support Forces (RSF) hanno conquistato lunedì Al Fashir, in Sudan, l’ultima grande città della regione del Darfur che ancora non controllavano. Da allora da Al Fashir arrivano notizie, racconti e video di violenze, massacri di civili ed esecuzioni di massa. Il Darfur è diventato il centro delle operazioni delle RSF, che da oltre due anni combattono una brutale guerra civile contro l’esercito sudanese. È anche la regione del paese dove vengono commesse le maggiori atrocità verso la popolazione civile.
Era già successo più o meno vent’anni fa, fra il 2003 e il 2006, in quella che è nota come la guerra del Darfur, o anche come “il genocidio del Darfur”. Come allora, le vittime delle violenze sono le persone di etnia non araba, e gli autori dei massacri sono di fatto gli stessi: le attuali RSF discendono direttamente dai janjawid, le milizie che compirono la pulizia etnica in Darfur oltre vent’anni fa.

Una casa bruciata dopo un bombardamento a Tawilah nel 2004 (Jacob Silberberg/Getty Images)
Il Darfur è una regione occidentale del Sudan, grande come la Spagna, una volta e mezzo l’Italia: secondo le Nazioni Unite ci vivono 12 milioni di persone, ma si tratta di una stima, perché vent’anni di guerre hanno causato enormi movimenti migratori. La popolazione è principalmente musulmana, composta da persone di etnia araba e altre appartenenti a decine di gruppi etnici locali, tra cui i fur (Darfur significa proprio “terra dei fur”), i masalit e gli zaghawa. Semplificando molto, le diverse etnie hanno anche stili di vita diversi: gli arabi sono principalmente nomadi e vivono di allevamento, soprattutto di bovini e cammelli, mentre gli altri gruppi etnici sono sedentari e dediti all’agricoltura.
Sin dall’indipendenza del Sudan, nel 1956, le comunità del Darfur, arabe e non arabe, sono state poco rappresentate nei governi centrali sudanesi. Regimi militari e governi civili, politici di ispirazione comunista o islamista hanno sempre trattato il Darfur come una lontana provincia (Al Fashir dista circa mille chilometri da Khartum e i collegamenti sono pochi e complessi), sfruttandone le risorse agricole e minerarie, ma senza prevedere politiche di sviluppo. Nella regione inoltre da decenni c’erano tensioni fra le diverse etnie: a partire dal 2001 scontri e violenze diventarono più frequenti.
La guerra scoppiò nel 2003: alcune formazioni ribelli si organizzarono sotto il nome di Esercito di liberazione del Sudan (Sudan Liberation Army, SLA) e iniziarono ad attaccare strutture del governo di Khartum nel nord della regione (palazzi governativi, aerei all’aeroporto, stazioni di polizia).
Dal 1989 in Sudan era presidente Omar al Bashir, ex militare che aveva preso il potere con un colpo di stato, e che sosteneva apertamente l’etnia araba. Denunciò gli attacchi come “razzisti” contro gli arabi e per combattere i ribelli reclutò delle milizie arabe: si trattava di uomini di etnia baggara, pastori di bovini nomadi e seminomadi.

Soldati dell’Esercito di liberazione del Sudan (SLA) (Lynsey Addario/Getty Images Reportage)
Le popolazioni del Darfur cominciarono a chiamare queste milizie janjawid, un termine che si può tradurre dall’arabo come “diavoli a cavallo” e che era usato localmente per indicare i predoni o i fuorilegge.
I janjawid iniziarono ad attaccare i villaggi delle comunità fur, masalit e zaghawa, uccidendo civili, praticando lo stupro come arma di guerra e di pulizia etnica, catturando, torturando e ricattando le persone in fuga, saccheggiando le città e i piccoli centri. Alcuni villaggi furono attaccati più volte, poi le milizie cominciarono a distruggerli completamente, dando fuoco a tutte le abitazioni e a tutti i raccolti.

La mappa dei villaggi bruciati fino ad agosto 2004 (DigitalGlobe, Inc., U.S. Department of State via USAID, Public domain, via Wikimedia Commons)
Le milizie erano sostenute dal governo centrale, che faceva bombardamenti aerei sui civili e impediva alle organizzazioni umanitarie internazionali ogni accesso all’area, lasciando la popolazione senza cibo, medicine e beni di prima necessità.
Questa guerra durò di fatto tre anni, con fasi di tentativi di accordi di pace seguiti da nuovi attacchi e crudeltà. Le stime dei morti sono complesse, ma secondo le Nazioni Unite miliziani e soldati dell’esercito uccisero circa 300mila persone, mentre gli sfollati furono 3 milioni.

Persone sfollate in marcia verso i campi profughi del Ciad nel 2004 (Scott Nelson/Getty Images)
A partire dal 2004 crebbe l’attenzione della comunità internazionale sui massacri in Darfur: in quell’anno e nel successivo il segretario di Stato statunitense Colin Powell e poi il presidente George W. Bush dissero che nella regione era in corso «un genocidio». Nazioni Unite e Unione Africana parlarono di «crimini contro l’umanità». Dal 2004 forze dell’Unione Africana furono schierate con compiti di peacekeeping, poi sostituite nel 2006 da missioni dell’ONU. Nel 2006 fu firmato un primo accordo di pace, ma gli scontri continuarono, seppur con minore intensità, e un accordo definitivo arrivò solo nel 2020. Già nel 2021 si verificarono nuovi scontri.

Omar al Bashir ad Al Fashir nel 2009 (Lynsey Addario/Getty Images Reportage)
Nel 2008 il presidente sudanese al Bashir fu accusato dalla Corte Penale Internazionale di genocidio, crimini contro l’umanità e crimini di guerra: fu emesso un mandato d’arresto. Nel 2013 dopo alcuni scontri in Darfur il presidente approvò la creazione delle Rapid Support Forces (RSF), milizie paramilitari di fatto eredi dei janjawid: le guidava Hamdan Dagalo “Hemedti”, un giovane ufficiale la cui ascesa repentina non fu mai davvero spiegata.
Nel 2019 al Bashir fu destituito in un colpo di stato guidato da Dagalo e dal generale Abdel Fattah al Burhan: sono i due generali che dal 2023 hanno cominciato la guerra civile, al Burhan guida l’esercito regolare. Al Bashir è in carcere, ma non è mai stato consegnato alla Corte Penale Internazionale, come il governo provvisorio aveva annunciato di voler fare.
Il 6 ottobre è invece arrivata la prima condanna della Corte Penale Internazionale per i crimini di guerra e contro l’umanità nel Darfur: è stato condannato Ali Muhammad Ali Abd Al Rahman, conosciuto come Ali Kushayb, uno dei capi delle milizie.
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