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  • Giovedì 30 ottobre 2025

Che fine fanno gli impianti olimpici

Tra il 1896 e il 2022 ne sono stati usati quasi mille: secondo il Comitato olimpico internazionale solo trenta sono abbandonati

Il trampolino per gli sci delle Olimpiadi del 1956 a Cortina d'Ampezzo, 6 febbraio 2025 (Francesco Scaccianoce/Getty Images)
Il trampolino per gli sci delle Olimpiadi del 1956 a Cortina d'Ampezzo, 6 febbraio 2025 (Francesco Scaccianoce/Getty Images)
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Il Comitato olimpico internazionale (CIO) ha pubblicato uno studio su cosa è accaduto a tutti gli impianti – quasi mille – usati in tutte le edizioni delle Olimpiadi moderne. Secondo lo studio, che riguarda le 53 Olimpiadi estive e invernali tra il 1896 e il 2022, la maggior parte degli impianti ha continuato a essere utilizzata anche dopo le Olimpiadi.

Tra i 982 impianti presi in considerazione dal CIO, 115 erano temporanei e 867 permanenti, quindi già esistenti o costruiti per esistere anche dopo le Olimpiadi. Tra questi 867 impianti 124 risultano inutilizzati: 94 perché non esistono più (sono stati demoliti, distrutti, oppure sostituiti da edifici più moderni) e 30 risultano abbandonati (quindi ancora esistenti ma non usati in alcun modo).

Le città che ospitano le Olimpiadi devono accogliere decine di sport in strutture molto specifiche, in genere con l’obiettivo non semplice di renderle funzionali, affascinanti e all’avanguardia. Sono interventi spesso molto costosi, ma a volte anche un buon investimento, perché nei casi migliori le Olimpiadi possono cambiare davvero in meglio una città. Successe con Barcellona, che ospitò quelle estive del 1992, e in misura minore è successo con Torino, che ospitò quelle invernali del 2006.

Fino all’inizio degli anni Novanta il numero di strutture per edizione è cresciuto lentamente: perché sono aumentati gli sport praticati ma anche perché, più in generale, le Olimpiadi sono diventate eventi sportivi e mediatici sempre più grandi.

Negli ultimi trent’anni il numero di strutture (permanenti o temporanee) utilizzate per ogni evento olimpico si è stabilizzato: di solito sono circa 15 per le Olimpiadi invernali e tra le 35 e le 40 per quelle estive. Il record è delle Olimpiadi di Tokyo: si tennero nel 2021 anziché nel 2020 a causa della pandemia da coronavirus e si svolsero in 43 strutture.

Non fanno ancora parte dell’analisi del CIO (ma sono mostrate nel grafico qui sotto) le 35 strutture usate nel 2024 per le Olimpiadi di Parigi e le 15 (come da media) che saranno usate per Milano Cortina.

Tra le strutture permanenti, preesistenti o pensate per esistere anche dopo le Olimpiadi, alcune hanno continuato a ospitare eventi sportivi. Altre sono diventate attrazioni turistiche: è il caso del villaggio olimpico di Monaco, sede delle Olimpiadi estive del 1972. Altre ancora sono state destinate a usi industriali o militari: l’attuale complesso militare di Satory, a Versailles, fu costruito nel 1900 come sede delle discipline di tiro durante le prime Olimpiadi di Parigi.

A volte capita che un impianto olimpico nato per uno sport sia poi usato per un altro sport. È successo alla Pista di bob dei Pélerins realizzata nel 1924 in occasione delle prime Olimpiadi invernali (quelle di Chamonix, in Francia): negli anni Sessanta fu abbandonata perché troppo pericolosa (era chiamata “le 19 curve dell’Inferno”) e oggi quel che ne rimane è diventato un percorso per escursionisti e ciclisti.

Come abbiamo visto, delle 867 strutture permanenti, solo il 14 per cento (124) risulta inutilizzato, abbandonato, demolito o distrutto. Anche escludendo gli edifici preesistenti e considerando quindi solo le strutture appositamente costruite la percentuale scende all’11 per cento: significa che le nuove strutture – spesso quelle su cui ci sono dubbi riguardo all’utilizzo futuro – continuano in gran parte a essere usate anche dopo le Olimpiadi.

Tra i 30 edifici olimpici realmente abbandonati – cioè che esistono ancora senza però essere usati – due arrivano dalle Olimpiadi di Torino. Sono il trampolino per il salto con gli sci di Pragelato e la pista da bob di Cesana, entrambi inutilizzati da anni ma difficili e costosi da rimuovere o riqualificare.

Proprio per evitare situazioni difficili da risolvere come quella di Cesana e Pragelato, da ormai qualche anno il Comitato olimpico internazionale spinge spesso le città ospitanti a utilizzare soluzioni temporanee. Erano molto diffuse a inizio Novecento poiché i requisiti tecnici delle competizioni e il numero di atleti e spettatori non richiedevano strutture particolarmente complesse. E sono tornate ad esserlo in questo secolo, grazie, tra le altre cose, a nuovi materiali e nuove tecniche che rendono più facile costruirle (e smontarle).

Le prossime Olimpiadi, che si svolgeranno a febbraio tra Milano, Cortina e molte altre città, avranno solo due strutture temporanee e due nuove (le altre sono invece preesistenti). Quelle temporanee saranno il Milano Speed Skating Stadium e la Milano Rho Ice Hockey Arena, entrambe nel polo fieristico del comune di Rho, nell’area chiamata Milano Ice Park. Quelle nuove saranno il Livigno Aerials & Moguls Park e l’Arena Santa Giulia di Milano. Sta invece un po’ nel mezzo la pista da bob Eugenio Monti di Cortina d’Ampezzo: era stata chiusa nel 2008 e ma è stata risistemata in vista delle Olimpiadi.

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